Nella vicenda giudiziaria della nave Gregoretti l’errore politico fatto da Matteo Salvini è stato quello di prendere troppo sul serio e come solidissimo l’accordo di governo con il M5s, ma la sua fu responsabilità penale, politica o entrambe?
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
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Giuseppe Conte e Matteo Salvini (foto da repubblica.it) |
In
questi giorni si sta svolgendo a Catania l’udienza preliminare del cosiddetto processo
Gregoretti. L’accusa a carico di Matteo Salvini è sequestro di persona. Nel 2019 egli ritardò lo sbarco di 131 migranti nel porto militare di Augusta. Il leader della
Lega rischia il rinvio a giudizio, ma prima il giudice vuole verificare se
quella decisione sia stata condivisa da tutto il governo Conte
1.
L'ex ministro dell’Interno ha giustificato il suo operato sostenendo
di ‘di aver salvato vite tutelando l’interesse nazionale italiano’ e di
averlo fatto ’in compagnia di tutto il Governo’.
‘A
parole faceva il duro, diceva che difendeva i confini ma negli atti giudiziari
scarica su altri la responsabilità’. Questo è quanto ha dichiarato, invece, l’ex ministro dei Trasporti e suo collega di Governo,
Danilo Toninelli.
È bene ricordare che la Gregoretti non è un’imbarcazione privata o di una Organizzazione non governativa, ma della Guardia costiera. E', cioè, una nave militare italiana. Chi ha studiato diritto costituzionale alle scuole superiori sa (nei Licei questa disciplina non si studia) che una nave militare battente bandiera italiana è territorio nazionale. Aver impedito lo sbarco dei migranti è per il nostro ordinamento giuridico un atto illegittimo, in quanto i migranti si trovavano già sotto la giurisdizione italiana. Dal punto di vista politico, il comportamento dell’ex ministro degli Interni non è stato ‘a tutela dell’interesse nazionale’, ma una forzatura ideologica per rimanere fedele alla propria linea politica, quella dei respingimenti, ‘confondendo’, però, i confini con la territorialità e la Gregoretti come una nave di una Ong.
Matteo Salvini non ne era a conoscenza? È difficile da credere. Come è difficile ritenere che non ci fosse nei ministri che facevano parte di quel Governo la consapevolezza di infrangere l’ordinamento giuridico. Probabilmente il leader leghista ha forzato la situazione puntando sugli ‘ammiccamenti’ dei suoi allegati di maggioranza, cioè dei grillini. In quei mesi i vari ministri del Conte 1 e lo stesso Presidente del Consiglio hanno sostenuto più volte la linea dura del ministro degli Interni. Negarlo oggi, come fa Toninelli, non è plausibile.
Occorre
solo capire se in quel caso specifico il successore di ‘Albert de Giussan’
fece di testa sua o se in qualche modo ebbe il sostegno formale o informale di
tutto il Governo. Ipotesi quest’ultima non inverosimile.
Comunque
andrà il procedimento giudiziario due fatti sono certi. Il leader leghista in quelle
settimane agiva come se fosse Lui il presidente del Consiglio, come se tutto
gli fosse concesso, anche di forzare un dettato normativo chiaro come quello
previsto dal nostro ordinamento giuridico. Il secondo aspetto inconfutabile è
che, al di là dei distinguo di oggi e della formalità o informalità degli atti,
tutto questo è stato possibile perché il Governo Conte 1 era per una linea dura
nei confronti degli sbarchi e dei respingimenti.
‘La
responsabilità penale è personale’, sancisce l’articolo 27 della Costituzione
italiana, ma quella politica è di certo di tutto il Governo ‘pentaleghista’. E
quei fatti furono possibili perché erano il frutto di un preciso accordo politico
tra la Lega e il M5s. L’unico errore fatto da Matteo Salvini è stato quello di
prendere quel Patto troppo sul serio.
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