Oggi,
16 luglio 2016, è stato sanato un vulnus che durava da tanto, troppo tempo, ma per tanti professori e professoresse il futuro sarà ancora precario ed incerto
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
Foto da blastingnews.com |
Era
il 1993 quando per la prima volta varcai come docente l’ingresso di una scuola
pubblica. Davanti
all’entrata, affollata dai ragazzi che attendevano, c’era una collega che
vedendomi arrivare si sorprese e mi fece accedere all’interno della scuola con
una certa riluttanza e curiosità. Aveva ragione, tutto sembravo tranne un
insegnante di discipline giuridiche ed economiche. La mia ritrosia ad indossare
indumenti diversi da una ‘polo’ e dai jeans mi è rimasta sino ad oggi, ma alla
collega devo essere sembrato un giovane fuori posto e fuori luogo.
Era
il giorno della prima prova degli esami di Stato, allora si chiamavano di maturità,
di un Istituto tecnico per geometri. Il docente nominato aveva rinunciato ed il
Provveditore dovette scorrere la graduatoria dei supplenti per nominare un
sostituto. Mi ritrovai cosi a pochi mesi dall’esame di abilitazione (superato
senza tante difficoltà, allora si faceva sulla disciplina di competenza) a
giudicare dei ragazzi che in alcuni casi conoscevano gli argomenti delle mie
materie quasi meglio di me.
Foto da cobastorino.it |
Allora
la prova orale dell’esame si svolgeva su due discipline, una scelta dal candidato e l’altra
dalla Commissione. Dovevamo esaminare gli alunni di una scuola pubblica
e di una privata. Questo complicò il mio lavoro perché quelli della
scuola privata avevano svolto il programma di quarta. Per la ‘superficialità’
con cui aveva lavorato il collega di ruolo dovetti districarmi con questa grave
‘incongruenza’ didattica e con i programmi di tre discipline: Diritto civile, Diritto
pubblico e Scienza delle finanze.
Inoltre, i commissari
interni ed altri due esterni erano piuttosto diffidenti con i giovani docenti
che facevano parte della Commissione, uno di questi ero io. Ed avevano ragione
ad esserlo, non ci misero troppo a
capire che non avrei accettato ‘compromessi’ o ‘raccomandazioni’. E così
fu, molti ragazzi superarono brillantemente l’esame ma cinque della scuola
privata furono ’bocciati’, fu doloroso ma non fu possibile fare diversamente.
Il Presidente della Commissione
apprezzò molto la meticolosità e la serietà con cui svolsi il mio lavoro al
punto che mi propose di chiedere il trasferimento nella sua scuola a Varese. Non ebbi dubbi, non volevo lasciare la famiglia e gli affetti e dissi di no. Oggi
quella situazione potrebbe verificarsi di nuovo e, stavolta, non potrei dare la
stessa risposta. Allora c’erano delle prospettive, ora non più.
Foto da blastingnews.com |
Dopo 23 anni passati
nelle scuole più disagiate e, spesso, nelle classi e con gli alunni più
‘problematici’, ho un lavoro certo. Viene sanato un vulnus che durava da
tanto, troppo tempo. Ed è stato
emozionante vedere la felicità negli occhi di tanti colleghi precari, anche
loro con tanti anni di contratti a tempo determinato. E non capisco i tanti
insegnanti di ruolo che criticano la legge sulla ‘Buona scuola’ che ha posto
rimedio ad una situazione paradossale e senza sbocchi certi per decine di
migliaia di colleghi. Certo il legislatore poteva intervenire prima e meglio,
ma quel provvedimento ha fatto tanto.
In questa calda ed afosa giornata di luglio passo
di ruolo eppure in me c’è un po’
di 'tristezza'. Sì, ora ho la certezza di percepire lo stipendio il 23 di ogni
mese, ma è stata comunque una sconfitta, troppo tempo è trascorso da quel
giorno del 1993. E,
poi, non riesco a gioire sapendo che
tanti professori e professoresse che conosco da anni non possano farlo. Sono colleghi precari (tanti, alcuni lo sono
da due decenni) che hanno deciso di non accettare l’immissione in ruolo per non
separarsi dalla famiglia e dagli amici e, quindi, di rimanere nel limbo dell’incertezza che tra
qualche giorno diventerà ansia nell’attesa di un nuovo incarico che non è detto
ci sarà.
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