Renato Brunetta non dovrà più tirare la cinghia, si fa per dire. Ha detto no al salario minimo di 9 euro l’ora. Ora, oltre all’indennità pensionistica maturata come professore universitario percepirà una retribuzione di 240mila euro l’anno per il ruolo di presidente del Cnel
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Renato Brunetta, 1983 (foto da wikipedia.org) |
Il
governo di Giorgia Meloni con una norma ad hoc inserita nel decreto Pnrr ha
rimosso il divieto di cumulo di pensione e retribuzione dei dirigenti pubblici.
Pertanto, l’ex ministro, ora potrà incassare, oltre alla pensione di cui non si
conosce l’importo, 240 mila euro all’anno, cioè l’emolumento massimo per i
dirigenti della Pubblica amministrazione previsto dalla legge 190 del 2014. Beneficeranno
del provvedimento anche il presidente dell’Istat e Pietro Ciucci amministratore
delegato della società Stretto di Messina.
Non
solo. I vicepresidenti e i consiglieri del Cnel riceveranno un’indennità pari
al 20% e al 10% rispetto a quella del Presidente. Fino ad oggi non percepivano
nessuna indennità. Ora i primi incasseranno 48mila euro ed i secondi 24mila
euro. I consiglieri sono in tutto 64, l’esborso complessivo sarà di un milione
e ottocentomila euro.
Poi
ci sono le spese di viaggio all’estero che aumentano di 30mila euro, quelle per
la partecipazione ai lavori del Consiglio che salgono a 70 mila euro. Aumentano
anche da 140 a 200mila i costi di pubblicità e comunicazione e le competenze
dei collaboratori del presidente che si incrementano di 68 mila euro. Infine, i
costi per gli esperti salgono a 100mila euro.
Nei
mesi scorsi il Cnel, su richiesta del Governo di Giorgia Meloni, ha dato parere
negativo sull’introduzione del salario minimo.
Due pesi e due misure. E' il paradosso Brunetta. Nega una retribuzione dignitosa ai lavoratori, ma percepisce a sua insaputa, forse, uno stipendio faraonico.
Quello
presieduto dall'ex ministro berlusconiano, è bene ricordarlo, è un organo costituzionale che
ha, per così dire, un ruolo piuttosto circoscritto, per non dire inutile.
Il
limite agli stipendi dei dirigenti pubblici introdotto con la manovra finanziaria
del 2011 e dichiarata legittima dalla Consulta nel 2017 era giustificato anche
e soprattutto per il Cnel.
La spending review praticata dal governo di Mario Monti non fu casuale, era frutto
della disastrosa situazione dei conti pubblici. Il Paese guidato dal governo di
Silvio Berlusconi, di cui facevano parte tanti degli attuali ministri e
sottosegretari, era sull’orlo del fallimento. Il taglio della spesa pubblica e
l’incremento delle imposte furono inevitabili per evitare il default.
Ma da allora non abbiamo imparato nulla. Furbizia e trasformismo non
si riescono a debellare, fanno parte del Dna di una parte consistente del popolo
italiano.
Renato
Brunetta è stato craxiano, è stato berlusconiano ed ora è meloniano.
Il
perché di tanti cambiamenti non è difficile da comprendere e, del resto, non è il
solo ad averlo fatto.
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