sabato 27 gennaio 2018
AUSCHWITZ - Francesco Guccini
Ubicazione:
Sicilia, Italia
venerdì 26 gennaio 2018
Liliana Segre: ‘Il mio numero 75190 non si cancella, è dentro di me ...’ (dall’arrivo nel campo di Auschwitz alla liberazione)
‘Dopo
aver abitato nella città artificiale del male assoluto è ancora possibile
vivere, amare, sentirsi umani e – cosa più incredibile – liberi dalla
tentazione di odiare per sempre’, Liliana Segre
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
Liliana Segre con il padre Alberto - (foto da wikipedia.org) |
‘Dopo
l’appello che
durava a lungo nella neve - un’ora, due ore - … uscivamo in fila dal campo al
suono dell’orchestra che accompagnava, sinistra, anche le esecuzioni. E con una
marcia forzata arrivavamo alla fabbrica Union … Gli industriali tedeschi hanno beneficiato per anni di manodopera non
pagata … I nostri datori di lavoro potevano contare su un ricambio continuo:
quando una di noi cadeva a terra, sfinita, e non si rialzava più, arrivava
subito un’altra ragazza-nulla a rimpiazzarla. E’ così all’infinito … La maggior
parte … sono morte a causa dei lavori più tremendi: scavare buche conficcando
la vanga nella terra ghiacciata, mentre un altro gruppo le richiudeva subito
dopo; caricare un camion di pietre mentre un altro gruppo le scaricava nello
stesso punto. Lavori persecutori, ideati
affinché gli stück, i pezzi,
durassero il meno possibile’.
Il libro 'Sopravvissuta ad Auschwitz' |
La
selezione - '... le
Kapos ci chiudevano nelle baracche a gruppi, cinquanta - sessanta per volta.
Poi ci portavano nel locale delle docce – quelle vere – nude - … e qui dovevamo
sfilare una dietro l’altra attraversando una grande sala per uscire dall’altra
parte. Sulla porta in fondo alla sala sedeva il piccolo tribunale di vita e di
morte: un medico e due SS. Noi, nude col nostro corpo e nient’altro, dovevamo
presentarci a questa giuria. …. Donne nude, scheletriche, che venivano esaminate davanti, dietro, in bocca, da uomini
in divisa che spesso ordinavano: voltati di nuovo che non ti ho vista bene. Una
femminilità annullata, completamente violata. Bestie al mercato, che venivano osservate, e quando una non andava più
bene ci pensavano il gas e il crematorio a cancellarla dal mondo’.
Janine - … era francese, aveva ventidue o
ventitre anni, occhi azzurri, voce dolce, ricciolini biondi e corti, appena
ricresciuti dopo la rasatura. Andata al
gas ad Auschwitz in un giorno del 1944. Pensiamola un momento, perché nessuno,
tranne me e gli aguzzini, conosce la fine che ha fatto Janine …
27
gennaio 1945 - La marcia della morte -
‘Si svolgeva nel buio: camminavamo quasi sempre di notte perché i nazisti non
volevano far vedere neanche ai civili tedeschi le sembianze di queste migliaia
di persone schiavizzate e annientate, che si spostavano a nord, sempre più a
nord, man mano che i russi si avvicinavano … una lunga fila di disperati, che
si buttavano come pazzi sugli immondezzai alle porte della città. Addentavamo ossa già spolpate, bucce piene
di terra, torsoli marci, letamai dell’immondizia dei tedeschi … Cammina,
cammina, altrimenti muori … Cammina non cadere altrimenti ti uccidono. La vita è fatta così: se cadi qualcuno ti
calpesta e ti uccide moralmente: bisogna sempre avere la coscienza che siamo
fortissimi e che ce la faremo … Eravamo alla fine, ci rendevamo conto che,
se non ci avessero ucciso i nostri aguzzini, saremmo comunque morte nel giro di
una decina di giorni’.
1°
maggio 1945 - La fuga degli aguzzini
e la liberazione - ‘Li guardavamo
sbalorditi: cosa fanno?. Si mettono in
mutande le SS vicino a noi si spogliano, si rivestono da civili e tornano a
essere signori qualsiasi, quelli della banalità
del male (come scrisse Hannah Arendt, non erano né perversi né sadici,
bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali) … Il comandante di quell’ultimo campo, crudele assassino, camminava
vicino a me – non ho mai capito il suo nome, era un uomo alto ed elegante – si spogliò,
rimase in mutande, si rivesti da civile. Tornava a casa dai suoi bambini e da
sua moglie. Certamente non si accorgeva della mia presenza perché io ero una stück, un pezzo. Quando butto la pistola
ai miei piedi, con tutto l’odio che avevo dentro pensai per un istante: adesso
mi chino, prendo la pistola e in questa confusione assoluta lo ammazzo. Mi ero nutrita a lungo
solo di malvagità e di vendetta. Pensai che sparargli fosse l’azione giusta nel
momento giusto, il giusto finale di quella storia di cui ero stata protagonista
e testimone. Ma fu un attimo … Non avrei mai potuto raccogliere la pistola e
sparare al comandante di Malchow. Io avevo sempre scelto la vita. Quando si fa questa scelta non si può
togliere la vita a nessuno. E’ da quel momento sono stata libera’.
Fonte:
Sopravvissuta ad Auschwitz di Emanuela Zuccalà e wikipedia.org
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giovedì 25 gennaio 2018
Liliana Segre: ‘Il mio numero 75190 non si cancella: è dentro di me …’ (dalle leggi razziali del 1938 all’arrivo nel campo di Auschwitz)
‘Nelle
notti terse scelsi una piccola stella nel cielo, e mi identificai con lei. Io non
ero ad Auschwitz: mi ero fusa con quella stellina e pensavo: io sono quella
stellina. Finché brillerà nel cielo io non morirò, e finché resterò viva io,
lei continuerà a brillare. Ma non era vero … ’, Liliana Segre
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
Liliana Segre, pochi giorni prima dell'arresto (foto da corriere.it) |
13
settembre 1938 – Viene
emanato il provvedimento per la difesa della razza nella scuola fascista. ‘Alle scuole di qualsiasi ordine e
grado, ai cui studi sia riconosciuto effetto legale, non potranno essere iscritti alunni di razza ebraica … E’ la prima
di una serie di leggi che spogliano gli ebrei di ogni diritto civile e
politico: è vietato loro studiare, insegnare, sposarsi con persone di razza
ariana, possedere immobili e aziende … lavorare nella pubblica amministrazione,
nelle banche e nelle assicurazioni, prestare servizio militare … Ero una
bambina milanese come tante altre, di famiglia ebraica laica e agnostica: non
avevo ricevuto nessun insegnamento religioso in casa. …. Non avevo mai sentito parlare di ebraismo quando, una sera di fine
estate, mi sentii dire dai miei famigliari che non avrei più potuto andare a scuola
... Perché? Cos’ho fatto di male?, chiesi, e intanto mi sentivo colpevole,
colpevole di una colpa che mi restava sconosciuta’.
Il libro 'Sopravvissuta ad Auschwitz' |
7
dicembre 1943 - Il tentativo di fuga in Svizzera - ‘...
al comando di polizia, dopo una lunga attesa - senza dirci una parola, senza
darci un bicchiere d’acqua né un pezzo di pane
– l’ufficiale di turno ci
condannò a morte. Ci trattò con disprezzo estremo, disse che eravamo degli imbroglioni, che la Svizzera era piccola e non
c’era posto per noi. Ci rimandava indietro. Cosa faceva quell’uomo? Non
potevo crederci. … Mi buttai per terra abbracciandogli le gambe, lo supplicavo
in ginocchio … Ci rimandava indietro sulla montagna, più o meno là dove eravamo
scesi.
Il
carcere di Varese - A
tredici anni entrai da sola nel carcere femminile di Varese, separata da mio papà.
Piangevo: ero una bambina … La Gestapo convocava di continuo gli uomini ebrei
per sottoporli a interrogatori spietati: li picchiavano e li torturavano per
sapere dov’erano i nostri soldi e per stanare i nostri amici e parenti che si
erano nascosti … Mio papà tornava dall’interrogatorio, ci abbracciavamo, io
capivo confusamente che non si doveva parlare perché ogni parola era una pietra.
Eravamo due infelici che si stringevano al cuore l’una con l’altro, in un
alternarsi di disperazione e speranza. Ma eravamo ancora insieme’.
30
Gennaio 1944 - La deportazione -
‘Più
di 6.000 ebrei italiani furono deportati ad Auschwitz. Siamo tornati in 363.
In tempi così difficili come quelli, il sentimento di pietà verso un proprio
simile, colpevole solo di essere nato, è un dono … e così furono i detenuti di
San Vittore; sporchi, affacciati fuori
dalle loro celle su quella balconata, che con benedizioni, con addii, con
arrivederci, ci buttavano giù una piccola cosa qualunque, un’arancia, un paio
di guanti, una sciarpa di lana, un pezzettino di cioccolato. Era oro liquido che
scendeva su di noi: era la pietà. Ci gridavano: Vi vogliamo bene, fatevi
coraggio. Non avete fatto niente di male’.
Il
viaggio verso Auschwitz
- ‘… per sei giorni questa umanità viveva stipata nel vagone con le sue
miserie, con i suoi bisogni fisici, con i suoi odori di sudore, di urina, di
paura. I ragazzi devono sapere, e quando si passa in una stazione qualsiasi e
si vedono i vitelli o i maiali portasti al mattatoio, penso sempre che io sono stata uno di quei vitelli, uno di
quei maiali, che nelle stazioni implorano acqua e nessuno gliela dà. Io lo
so come ci si sente oltre i finestrini schermati dei treni merci. E il treno
va, e si vedono passare stazioni e paesi stranieri … Non c’era più nulla da dire. Era il silenzio delle ultime cose, quando
si è soli con la propria coscienza e la sensazione che stiamo tutti per morire.
Quando stai per morire non puoi che
tacere. La tua vita precedente ti passa come un film dentro la testa, e in te
pulsa solo il bisogno di comunicare con gli occhi, alle persone che ami, un
messaggio di addio in mezzo al quale ogni parola sarebbe di troppo’.
6
febbraio 1944 - il
nostro treno si fermò ad Auschwitz, e il silenzio che aveva paralizzato
l’ultima parte del nostro viaggio si sovrappose il rumore osceno degli
assassini che aprivano le porte dei vagoni … Ci fu la selezione dell’arrivo … eravamo in 605 sul convoglio … fummo scelti
per la vita in 128: 31 donne e 97 uomini. Gli altri si allontanarono sui
camion e ai nostri occhi disorientati erano loro i fortunati, che non erano
costretti a camminare in mezzo a quel freddo tremendo, dopo quel viaggio massacrante,
e chissà verso dove’ (quella fu l'ultima volta che Liliana vide il padre che morì il successivo 27 aprile).
‘Il
mio numero 75190 non si cancella: è dentro di me … Io sono il numero 75190. I nazisti volevano annullare
l’identità delle migliaia di persone che
non venivano mandate dalla stazione direttamente al gas, che dovevano rimanere
vive finché potevamo lavorare, ma senza più il diritto all’identità. Diventavamo stücke, pezzi. La parola donna non esisteva più … Vestite a righe,
il braccio gonfio, uscimmo nella neve con gli zoccoli spaiati ai piedi … La
vedete quella ciminiera là in fondo la fiamma accesa? E’ un crematorio: ci
bruciano le persone dopo averle uccise con il gas. Per questo qui ad Auschwitz
sentirete quest’odore dolciastro.: è la carne che brucia. Per questo qui ad
Auschwitz la neve è grigia: c’è la cenere, nel vento di Auschwitz … Non vedrete
mai più quelli che avete lasciato alla stazione: sono già passati per il camino.
Sono cenere nel vento di Auschwitz’.
Fonte:
Sopravvissuta ad Auschwitz di Emanuela Zuccalà e wikipedia.org
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lunedì 22 gennaio 2018
‘La disuguaglianza … risolta dai bambini’
‘Lan,
vietnamita, ogni giorno cuce centinaia di scarpe, ma non può comprarle a suo
figlio, che vede una volta all’anno’
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
Crescono le
ingiustizie e le disuguaglianze, a sostenerlo è il rapporto ‘Ricompensare il lavoro, non la ricchezza’
pubblicato da Oxfam Italia. Nel 2017 ‘l’82% dell’incremento di ricchezza globale
è finita nelle casseforti dell’1% della popolazione più ricca, mentre la metà
più povera, ossia 3,7 miliardi di persone, non ha avuto nulla. Ogni due giorni nasce un nuovo miliardario,
ma a farne le spese sono i più poveri’.
Il
20% più ricco della popolazione italiana deteneva a metà del 2017 il 66% della
ricchezza nazionale.
Nel periodo che va dal 2006 al 2016 il
reddito disponibile lordo degli italiani più poveri è diminuito del 23,1%. L’incremento
di ricchezza di azionisti e manager corrisponde ad un peggioramento dei salari e delle condizioni dei lavoratori.
I
motivi delle crescenti
disuguaglianze sono, secondo Oxfam, ‘la riduzione del costo del lavoro e dei
diritti dei lavoratori, l’esternalizzazione lungo le filiere globali, la
massimizzazione ad ogni costo degli utili d’impresa’. A pagare il nostro
benessere sono i più poveri. Una di queste è ‘Lan, vietnamita, ogni giorno cuce centinaia di
scarpe, ma non può comprarle a suo figlio, che vede una volta all’anno’.
Le
proposte indicate
nel rapporto per ridurre le differenze sono una ‘maggiore equità sociale, mettere un
tetto agli stipendi dei top manager, proteggere i diritti dei lavoratori,
aumentare la spesa pubblica ed adottare una maggiore progressività fiscale’.
Fonte:
oxfamitalia.org
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sabato 20 gennaio 2018
‘Ora Andrea non c’è più e in casa resta un grande dolore e un silenzio enorme…’
Il
lavoro dovrebbe essere un mezzo per realizzare le proprie capacità ed
attitudini professionali, invece è, spesso, un luogo di fatica e sofferenza
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
Foto da ingegneri.info |
‘Andrea
aveva 23 anni, tutti i giorni si faceva 80 chilometri per recarsi al lavoro. Il
20 giugno Andrea si alza alle 4 del mattino per essere in fabbrica alle 5. Alle
6,10 la pressa si ferma, Andrea d’istinto si sporge dentro ma all’improvviso la
macchina si rimette in moto... Ora Andrea non c’è più e in casa resta un grande
dolore e un silenzio enorme... manca la sua musica, la sua chitarra, la sua
tromba...’, Morota Gagliardoni Graziella, mamma di Andrea, morto sul lavoro. Dichiarata
dai medici del reparto di terapia intensiva cardiochirurgica dell'ospedale San
Raffaele di Milano la morte cerebrale del 61enne operaio dell'azienda Lamina di
Milano. Da più di quarant'anni era dipendente dell'azienda ed uomo di fiducia
dei titolari, ora in pensione, era rimasto nello stabilimento per formare un
collega più giovane. Un lavoratore che 'amava il suo lavoro e ogni giorno
dovevamo pregarlo di tornare a casa', ricordano i familiari.
Yoko Ono e John Lennon - (foto da wikipedia.org) |
Giancarlo
Barbieri è il quarto operaio deceduto per l'incidente avvenuto nei giorni
scorsi nell'azienda milanese. Nella stessa fossa che conteneva il forno per l’acciaio
infestato dall’azoto hanno perso la vita il fratello Arrigo di 57 anni,
l’operaio Giuseppe Setzu di 48 anni e l’elettricista di una dita esterna Marco
Santamaria di 43 anni. Il
giorno dopo, sotto gli occhi del padre, è morto, schiacciato dal tornio su cui
era rimasta incastrata una manica del suo maglione, un giovane operaio 19enne
di Rovato, in provincia di Brescia.
Questi
sono gli ultimi episodi di una ‘mattanza’ che si ripete quotidianamente. E, nonostante gli obblighi sempre più stringenti per i datori di lavoro introdotti con il Testo unico
sulla sicurezza sul lavoro entrato in vigore nel 2008, i casi di morte e di
malattie professionali rimangono una costante del nostro sistema produttivo. Il motivo è sempre lo stesso: l'esasperata ricerca del 'profitto'. I lavoratori su istruzione del ‘padrone’ o
semplicemente di propria iniziativa, talvolta, eseguono la loro mansione senza
rispettare le norme previste dai protocolli sulla sicurezza, che, è bene
ricordarlo, sono obbligatori in tutti i luoghi di produzione.
'Il lavoro è vita e senza quello esiste solo paura e insicurezza' scriveva John Lennon nel 1969, ma purtroppo troppo spesso esso si trasforma in tragedia. E tutte le precauzioni del mondo non basteranno ad evitarle, almeno fino a quando al centro dell’attività produttiva anziché il profitto e gli speculatori non ci saranno il lavoro ed i lavoratori.
'Il lavoro è vita e senza quello esiste solo paura e insicurezza' scriveva John Lennon nel 1969, ma purtroppo troppo spesso esso si trasforma in tragedia. E tutte le precauzioni del mondo non basteranno ad evitarle, almeno fino a quando al centro dell’attività produttiva anziché il profitto e gli speculatori non ci saranno il lavoro ed i lavoratori.
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martedì 16 gennaio 2018
The Cranberries - Just My Imagination
Dolores O'Riordan, Cranberries, 16 gennaio 2018
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domenica 14 gennaio 2018
I bulli e la #malascuola
Gli
atti di violenza subite negli ultimi mesi dai docenti rappresentano il
fallimento della scuola italiana e dei politici che negli ultimi decenni hanno
tentato, inutilmente, di riformarla
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
Salvo Busà l'insegnante malmenato ad Avola e la ministra Valeria Fedeli - (foto da secoloditalia.it) |
‘Invito il ragazzo a
chiudere una finestra prima di andare in palestra per gli
esercizi. E lui mi manda a quel paese,
senza chiuderla. Insisto e alzo la voce. La risposta è il lancio di un libro.
Un lancio contro di me. Il libro finisce per terra. Lo prendo e lo poggio su un
banco. Rimprovero ancora quell’insolente
che afferra il telefonino. Mezz’ora dopo l’arrivo di padre e madre...’. Questa è la dichiarazione rilasciata al quotidiano la Repubblica dal professore di Educazione fisica di Avola
picchiato pochi giorni fa dai genitori di un suo alunno. La dinamica della
vicenda non è nuova. Negli ultimi anni sempre più spesso gli insegnanti delle
scuole medie e soprattutto di qu elle superiori sono stati oggetto di atti di
violenza da parte dei genitori dei loro alunni.
Foto da news.leonardo.it |
Una
volta la figura del docente era ‘vista’ con rispetto, oggi una parte sempre più numerosa
di ragazzi non solo non si impegna nello studio ma si comporta in modo ‘aggressivo’
nei confronti dei compagni ed in alcuni casi anche degli insegnanti. E, quel
che è peggio, questi atteggiamenti da
‘bulli’ trovano, spesso, la copertura e talvolta il sostegno delle famiglie
che, anziché fare autocritica e richiamare i figli a tenere un comportamento
‘civile’, li difendono accusando i docenti di incapacità o, come in questo caso,
di essere la causa scatenante del fatto. Negli
ultimi due decenni sono state approvate diverse riforme della scuola, ma nessuna ha tenuto conto del
clima d’intimidazione di cui spesso sono vittime i professori. Gli obiettivi
degli ultimi governi sono stati quelli di tagliare le risorse finanziarie (riforma
Gelmini) o di adeguare la scuola alle esigenze produttive e di mercato delle
imprese (#buonascuola con l’alternanza scuola/lavoro). Inoltre, sono stati
modificati i programmi ministeriali, ma non
sono state incrementate le ore d’insegnamento delle discipline giuridiche ed
economiche che, è bene ricordarlo, non sono previste nei licei (fanno
eccezione quelli con indirizzo psichico - pedagogico, cioè gli ex istituti magistrali ed
il biennio degli istituti tecnici e professionali).
Foto da tg24com.mediaset.it |
Oltre a ciò,
l’aumento del numero minimo di alunni per formare le classi (le cosiddette classi pollaio) ha spinto
gli istituti ad una spietata concorrenza e ad evitare, nei limiti del possibile,
le bocciature o gli abbandoni. Per non parlare delle iscrizioni ‘fasulle’. Situazioni
di cui sono consapevoli i ragazzi e le loro famiglie. Il risultato è stato un
crollo dei livelli di apprendimento e la crescita di comportamenti 'scorretti' da parte degli alunni. In questo clima di sfiducia gli insegnanti, che spesso sono impegnati in inutili corsi di
formazione o nella realizzazione di progetti (che hanno come scopo anche quello
di incentivare gli stipendi dei presidi), sono
senza difese, sono costretti, cioè, a subire le angherie dei ‘bulli’ ed i
‘richiami’ dei dirigenti che non intendono intervenire con provvedimenti disciplinari
o con bocciature proprio per non perdere alunni e cattedre o comunque per non
assumersi responsabilità dirette con le famiglie. Non
devono stupire quindi i crescenti atti di vandalismo. La scelta fatta dall'èlite politica sull’istruzione
pubblica è evidente. Si vogliono buoni
consumatori, anziché buoni cittadini. L’obiettivo è un ritorno al
modello d’istruzione degli anni Sessanta, quando c’erano due tipi scuola
pubblica, una di eccellenza per i benestanti ed un’altra di base per i ceti
medio - bassi. Ed il risultato finale di questo processo sarà quello di incrementare, ancora
una volta, l’individualismo e l’ingiustizia anziché il
progresso civile e culturale di tutta la società.
Fonte: repubblica.it
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Ubicazione:
96012 Avola SR, Italia
domenica 7 gennaio 2018
Il Reddito di inclusione creerà disuguaglianze anche tra i poveri
Sono
75.885 le domande presentate per usufruire del Reddito di inclusione, oltre sei
su dieci sono istanze inoltrate dei cittadini residenti nelle regioni del Sud
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
Foto da sinistrainrete.info |
Il
Rei è una misura a sostegno delle famiglie più povere e riguarda i nuclei con minori,
disabili, donne in gravidanza a quattro mesi dal parto e over 55 disoccupati.
L’importo può variare da un minimo di 187 euro fino ad un massimo di 485 euro
mensili (5.824,80 l’anno). Possono usufruirne le famiglie che hanno un Isee
inferiore ai 6.000 euro ed un patrimonio (esclusa la prima casa) non superiore
a 20.000 euro ed un valore mobiliare non superiore a 6.000 euro. Il 64,7% delle
domande presentate dall’inizio di dicembre ad oggi proviene dalle regioni del
Mezzogiorno, il 35,3% da quelle del Centro-Nord. Questo significa che oltre sei richieste su dieci provengono da
cittadini del meridione. Il maggior numero di domande sono state trasmesse
dalla Campania con 16.686 (22%), dalla Sicilia con 16.366 (21,4%) e dalla Calabria
con 10.606 (14,0%). Questi dati
comunicati dall’Inps non sorprendono, anzi sono un’ulteriore dimostrazione
della condizione di povertà in cui vive una parte consistente della popolazione
del Sud dell’Italia. Inoltre, la ripresa economica sottolineata con tanta
enfasi dal presidente del Consiglio e dai principali esponenti del Partito democratico
è così limitata che anziché ridurre le distanze sociali li sta incrementando
sia a livello territoriale che tra le diverse categorie.
Foto da possibile.com |
Secondo il ministro
del Lavoro, Giuliano Poletti, le famiglie che dovrebbero beneficiare della
misura sono circa settecentomila, dovrebbe interessare cioè ‘1,8 milioni di
persone’ con la prospettiva di arrivare a luglio a circa ‘2,5 milioni di
persone’. La cifra stanziata dal governo è di 1,7 miliardi, destinati a
crescere fino a 2 miliardi l’anno, questo significa che in media saranno
erogati circa 200 euro mensili. Per Tito Boeri è una
somma insufficiente. ‘La soglia di povertà nelle grandi città del
Nord – ha rilevato il presidente dell’Inps - è superiore agli 800 euro a
persona, mentre quella nazionale è attorno ai 600 e che i poveri in Italia si
stimano attorno ai 4,5 milioni’. Insomma, l’importo che sarà accreditato non solo non sarà adeguato per garantire
una vita dignitosa a chi otterrà il contributo, ma esso non riguarderà tutti i
poveri. Sembra un paradosso, ma il
provvedimento creerà disuguaglianze anche tra gli indigenti. L’ingiustizia
è ancora più odiosa se confrontiamo la condizione economica dei più bisognosi con
quella di chi percepisce redditi e pensioni d’oro. In ogni caso queste forme di
assistenza sono un’umiliazione ed una limitazione delle libertà per chi dovrà avvalersene.
La povertà e l’esclusione sociale non si combattono con l’assistenzialismo, ma
creando le condizioni che permettano a tutti di esercitare il diritto al lavoro
sancito dall’articolo 4 della Costituzione italiana che, è bene ricordarlo, è
entrata in vigore settant’anni fa.
Fonte: inps.it
Fonte: inps.it
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