sabato 27 gennaio 2018

AUSCHWITZ - Francesco Guccini




'Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: considerate se questo è un uomo. Che lavora nel fango, che non conosce pace, che lotta per mezzo pane, che muore per un sì o per un no. Considerate se questa è una donna, senza capelli e senza nome, senza più forza di ricordare, vuoti gli occhi e freddo il grembo, come una rana d’inverno. Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore, stando in casa andando per via, coricandovi alzandovi, ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi', Primo Levi

venerdì 26 gennaio 2018

Liliana Segre: ‘Il mio numero 75190 non si cancella, è dentro di me ...’ (dall’arrivo nel campo di Auschwitz alla liberazione)

‘Dopo aver abitato nella città artificiale del male assoluto è ancora possibile vivere, amare, sentirsi umani e – cosa più incredibile – liberi dalla tentazione di odiare per sempre’, Liliana Segre

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Liliana Segre con il padre Alberto - (foto da wikipedia.org)
Vivevamo in una promiscuità assoluta, dormivamo in cinque o sei in un ripiano di quei tavolacci a castello … Era un brulicare degli insetti più schifosi che ci venivano addosso e s’infilavano tra le cuciture dei vestiti. La sporcizia regnava nel lager. Dormivamo vestite, sia per il freddo sia perché le nostre compagne più vecchie e più furbe ci avrebbero rubato i vestiti che erano preziosa merce di scambio’.
‘Dopo l’appello che durava a lungo nella neve - un’ora, due ore - … uscivamo in fila dal campo al suono dell’orchestra che accompagnava, sinistra, anche le esecuzioni. E con una marcia forzata arrivavamo alla fabbrica Union … Gli industriali tedeschi hanno beneficiato per anni di manodopera non pagata … I nostri datori di lavoro potevano contare su un ricambio continuo: quando una di noi cadeva a terra, sfinita, e non si rialzava più, arrivava subito un’altra ragazza-nulla a rimpiazzarla. E’ così all’infinito … La maggior parte … sono morte a causa dei lavori più tremendi: scavare buche conficcando la vanga nella terra ghiacciata, mentre un altro gruppo le richiudeva subito dopo; caricare un camion di pietre mentre un altro gruppo le scaricava nello stesso punto. Lavori persecutori, ideati affinché gli stück, i pezzi, durassero il meno possibile’.
Il libro 'Sopravvissuta ad Auschwitz'
I Musulmünner -  ‘… erano prigionieri, sia uomini che donne, la cui mente giungeva a un punto di non ritorno e loro si lasciavano morire. Sceglievano di non mangiare neanche quel pochissimo che ci veniva dato, sul quale invece noi ci gettavamo come pazze. Si sbottonavano la divisa quando nevicava e camminavano per il campo, non ordinati come invece stavamo noi – incolonnate, ubbidienti per sopravvivere: vai al lavoro, torna dal lavoro, vai alla doccia, vai alla baracca, esci dalla baracca, resta in riga e sull’attenti per l’appello – ma non potendo più avere freni inibitori, vagavano finché non cadevano a terra. Quando non morivano di morte naturale o di freddo, a finirli era il calcio del fucile di qualcuno che decideva di mettere fine a quello strazio. Era l’ultimo gradino contrapposto ai Kapos: tra il Kapos e il Musulmann c’era un’infinità di sistemi di sopravvivenza intermedi. C’era il furbo, che faceva piccoli affari nel campo; quello che si rendeva servile con l’aguzzino, magari sapeva il tedesco e si trasformava in un servo delle SS … Eravamo isole di dolore e di disperazione che non vivevano nei pensieri di nessuno’.
La selezione - '... le Kapos ci chiudevano nelle baracche a gruppi, cinquanta - sessanta per volta. Poi ci portavano nel locale delle docce – quelle vere – nude - … e qui dovevamo sfilare una dietro l’altra attraversando una grande sala per uscire dall’altra parte. Sulla porta in fondo alla sala sedeva il piccolo tribunale di vita e di morte: un medico e due SS. Noi, nude col nostro corpo e nient’altro, dovevamo presentarci a questa giuria. …. Donne nude, scheletriche, che venivano esaminate davanti, dietro, in bocca, da uomini in divisa che spesso ordinavano: voltati di nuovo che non ti ho vista bene. Una femminilità annullata, completamente violata. Bestie al mercato, che venivano osservate, e quando una non andava più bene ci pensavano il gas e il crematorio a cancellarla dal mondo’.
Janine - … era francese, aveva ventidue o ventitre anni, occhi azzurri, voce dolce, ricciolini biondi e corti, appena ricresciuti dopo la rasatura.  Andata al gas ad Auschwitz in un giorno del 1944. Pensiamola un momento, perché nessuno, tranne me e gli aguzzini, conosce la fine che ha fatto Janine …
27 gennaio 1945 - La marcia della morte - ‘Si svolgeva nel buio: camminavamo quasi sempre di notte perché i nazisti non volevano far vedere neanche ai civili tedeschi le sembianze di queste migliaia di persone schiavizzate e annientate, che si spostavano a nord, sempre più a nord, man mano che i russi si avvicinavano … una lunga fila di disperati, che si buttavano come pazzi sugli immondezzai alle porte della città. Addentavamo ossa già spolpate, bucce piene di terra, torsoli marci, letamai dell’immondizia dei tedeschi … Cammina, cammina, altrimenti muori … Cammina non cadere altrimenti ti uccidono. La vita è fatta così: se cadi qualcuno ti calpesta e ti uccide moralmente: bisogna sempre avere la coscienza che siamo fortissimi e che ce la faremo … Eravamo alla fine, ci rendevamo conto che, se non ci avessero ucciso i nostri aguzzini, saremmo comunque morte nel giro di una decina di giorni’.
1° maggio 1945 - La fuga degli aguzzini e la liberazione - ‘Li guardavamo sbalorditi: cosa fanno?. Si mettono in mutande le SS vicino a noi si spogliano, si rivestono da civili e tornano a essere signori qualsiasi, quelli della banalità del male (come scrisse Hannah Arendt, non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali) … Il comandante di quell’ultimo campo, crudele assassino, camminava vicino a me – non ho mai capito il suo nome, era un uomo alto ed elegante – si spogliò, rimase in mutande, si rivesti da civile. Tornava a casa dai suoi bambini e da sua moglie. Certamente non si accorgeva della mia presenza perché io ero una stück, un pezzo. Quando butto la pistola ai miei piedi, con tutto l’odio che avevo dentro pensai per un istante: adesso mi chino, prendo la pistola e in questa confusione assoluta lo ammazzo. Mi ero nutrita a lungo solo di malvagità e di vendetta. Pensai che sparargli fosse l’azione giusta nel momento giusto, il giusto finale di quella storia di cui ero stata protagonista e testimone. Ma fu un attimo … Non avrei mai potuto raccogliere la pistola e sparare al comandante di Malchow. Io avevo sempre scelto la vita. Quando si fa questa scelta non si può togliere la vita a nessuno. E’ da quel momento sono stata libera’.
  
Fonte: Sopravvissuta ad Auschwitz di Emanuela Zuccalà e wikipedia.org

giovedì 25 gennaio 2018

Liliana Segre: ‘Il mio numero 75190 non si cancella: è dentro di me …’ (dalle leggi razziali del 1938 all’arrivo nel campo di Auschwitz)

‘Nelle notti terse scelsi una piccola stella nel cielo, e mi identificai con lei. Io non ero ad Auschwitz: mi ero fusa con quella stellina e pensavo: io sono quella stellina. Finché brillerà nel cielo io non morirò, e finché resterò viva io, lei continuerà a brillare. Ma non era vero … ’, Liliana Segre

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Liliana Segre, pochi giorni prima dell'arresto
(foto da corriere.it)
‘Ho ascoltato Liliana Segre una sera di qualche anno fa. Mi colpì subito il suo modo pacato e oggettivo di parlare di argomenti tremendi … Mi colpì anche la sua assenza di odio, il suo amore per la vita, la sua capacità di cogliere segni di vita anche in luoghi di morte’, così scrive il Cardinale Carlo Maria Martini nella presentazione del libro ‘Sopravvissuta ad Auschwitz’. Ecco alcuni brani che raccontano le vicende tragiche di una delle ultime testimoni della Shoah che pochi giorni fa è stata nominata senatrice a vita dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
13 settembre 1938 – Viene emanato il provvedimento per la difesa della razza nella scuola fascista. ‘Alle scuole di qualsiasi ordine e grado, ai cui studi sia riconosciuto effetto legale, non potranno essere iscritti alunni di razza ebraica … E’ la prima di una serie di leggi che spogliano gli ebrei di ogni diritto civile e politico: è vietato loro studiare, insegnare, sposarsi con persone di razza ariana, possedere immobili e aziende … lavorare nella pubblica amministrazione, nelle banche e nelle assicurazioni, prestare servizio militare … Ero una bambina milanese come tante altre, di famiglia ebraica laica e agnostica: non avevo ricevuto nessun insegnamento religioso in casa. …. Non avevo mai sentito parlare di ebraismo quando, una sera di fine estate, mi sentii dire dai miei famigliari che non avrei più potuto andare a scuola ... Perché? Cos’ho fatto di male?, chiesi, e intanto mi sentivo colpevole, colpevole di una colpa che mi restava sconosciuta’.
Il libro 'Sopravvissuta ad Auschwitz'
8 settembre 1943 - ‘Quando i tedeschi divennero padroni dell’Italia del Nord e nacque la Repubblica di Salò, alle leggi razziali fasciste, già severe ed umilianti, si sovrapposero quelle di Norimberga. Per la prima volta sentivamo quell’espressione: soluzione finale … Mio padre decise che io sarei andata via di casa ... Amici eroici, di quelli con la A maiuscola … persone semplici … le leggi di Norimberga, per chi nascondesse un ebreo, prevedevano la fucilazione immediata. Eppure queste due famiglie si occuparono di me, tennero nascosta la ragazzina ebrea con i documenti falsi’.
7 dicembre 1943 - Il tentativo di fuga in Svizzera - ‘... al comando di polizia, dopo una lunga attesa - senza dirci una parola, senza darci un bicchiere d’acqua né un pezzo di pane  – l’ufficiale di turno ci condannò a morte. Ci trattò con disprezzo estremo, disse che eravamo degli imbroglioni, che la Svizzera era piccola e non c’era posto per noi. Ci rimandava indietro. Cosa faceva quell’uomo? Non potevo crederci. … Mi buttai per terra abbracciandogli le gambe, lo supplicavo in ginocchio … Ci rimandava indietro sulla montagna, più o meno là dove eravamo scesi.
Il carcere di Varese - A tredici anni entrai da sola nel carcere femminile di Varese, separata da mio papà. Piangevo: ero una bambina … La Gestapo convocava di continuo gli uomini ebrei per sottoporli a interrogatori spietati: li picchiavano e li torturavano per sapere dov’erano i nostri soldi e per stanare i nostri amici e parenti che si erano nascosti … Mio papà tornava dall’interrogatorio, ci abbracciavamo, io capivo confusamente che non si doveva parlare perché ogni parola era una pietra. Eravamo due infelici che si stringevano al cuore l’una con l’altro, in un alternarsi di disperazione e speranza. Ma eravamo ancora insieme’.
30 Gennaio 1944 - La deportazione -  ‘Più di 6.000 ebrei italiani furono deportati ad Auschwitz. Siamo tornati in 363. In tempi così difficili come quelli, il sentimento di pietà verso un proprio simile, colpevole solo di essere nato, è un dono … e così furono i detenuti di San Vittore; sporchi, affacciati fuori dalle loro celle su quella balconata, che con benedizioni, con addii, con arrivederci, ci buttavano giù una piccola cosa qualunque, un’arancia, un paio di guanti, una sciarpa di lana, un pezzettino di cioccolato. Era oro liquido che scendeva su di noi: era la pietà. Ci gridavano: Vi vogliamo bene, fatevi coraggio. Non avete fatto niente di male’.
Il viaggio verso Auschwitz - ‘… per sei giorni questa umanità viveva stipata nel vagone con le sue miserie, con i suoi bisogni fisici, con i suoi odori di sudore, di urina, di paura. I ragazzi devono sapere, e quando si passa in una stazione qualsiasi e si vedono i vitelli o i maiali portasti al mattatoio, penso sempre che io sono stata uno di quei vitelli, uno di quei maiali, che nelle stazioni implorano acqua e nessuno gliela dà. Io lo so come ci si sente oltre i finestrini schermati dei treni merci. E il treno va, e si vedono passare stazioni e paesi stranieri … Non c’era più nulla da dire. Era il silenzio delle ultime cose, quando si è soli con la propria coscienza e la sensazione che stiamo tutti per morire. Quando stai per morire non puoi che tacere. La tua vita precedente ti passa come un film dentro la testa, e in te pulsa solo il bisogno di comunicare con gli occhi, alle persone che ami, un messaggio di addio in mezzo al quale ogni parola sarebbe di troppo’.
6 febbraio 1944 - il nostro treno si fermò ad Auschwitz, e il silenzio che aveva paralizzato l’ultima parte del nostro viaggio si sovrappose il rumore osceno degli assassini che aprivano le porte dei vagoni … Ci fu la selezione dell’arrivo … eravamo in 605 sul convoglio … fummo scelti per la vita in 128: 31 donne e 97 uomini. Gli altri si allontanarono sui camion e ai nostri occhi disorientati erano loro i fortunati, che non erano costretti a camminare in mezzo a quel freddo tremendo, dopo quel viaggio massacrante, e chissà verso dove’ (quella fu l'ultima volta che Liliana vide il padre che morì il successivo 27 aprile).
‘Il mio numero 75190 non si cancella: è dentro di me … Io sono il numero 75190. I nazisti volevano annullare l’identità delle migliaia di persone che non venivano mandate dalla stazione direttamente al gas, che dovevano rimanere vive finché potevamo lavorare, ma senza più il diritto all’identità. Diventavamo stücke, pezzi. La parola donna non esisteva più … Vestite a righe, il braccio gonfio, uscimmo nella neve con gli zoccoli spaiati ai piedi … La vedete quella ciminiera là in fondo la fiamma accesa? E’ un crematorio: ci bruciano le persone dopo averle uccise con il gas. Per questo qui ad Auschwitz sentirete quest’odore dolciastro.: è la carne che brucia. Per questo qui ad Auschwitz la neve è grigia: c’è la cenere, nel vento di Auschwitz … Non vedrete mai più quelli che avete lasciato alla stazione: sono già passati per il camino. Sono cenere nel vento di Auschwitz’.

Fonte: Sopravvissuta ad Auschwitz di Emanuela Zuccalà e wikipedia.org 

lunedì 22 gennaio 2018

‘La disuguaglianza … risolta dai bambini’

‘Lan, vietnamita, ogni giorno cuce centinaia di scarpe, ma non può comprarle a suo figlio, che vede una volta all’anno’

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Crescono le ingiustizie e le disuguaglianze, a sostenerlo è il rapporto ‘Ricompensare il lavoro, non la ricchezza’ pubblicato da Oxfam Italia. Nel 2017 ‘l’82% dell’incremento di ricchezza globale è finita nelle casseforti dell’1% della popolazione più ricca, mentre la metà più povera, ossia 3,7 miliardi di persone, non ha avuto nulla. Ogni due giorni nasce un nuovo miliardario, ma a farne le spese sono i più poveri’.


Il 20% più ricco della popolazione italiana deteneva a metà del 2017 il 66% della ricchezza nazionale. Nel periodo che va dal 2006 al 2016 il reddito disponibile lordo degli italiani più poveri è diminuito del 23,1%. L’incremento di ricchezza di azionisti e manager corrisponde ad un peggioramento dei salari e delle condizioni dei lavoratori.
I motivi delle crescenti disuguaglianze sono, secondo Oxfam, ‘la riduzione del costo del lavoro e dei diritti dei lavoratori, l’esternalizzazione lungo le filiere globali, la massimizzazione ad ogni costo degli utili d’impresa’. A pagare il nostro benessere sono i più poveri. Una di queste è Lan, vietnamita, ogni giorno cuce centinaia di scarpe, ma non può comprarle a suo figlio, che vede una volta all’anno’.
Le proposte indicate nel rapporto per ridurre le differenze sono una ‘maggiore equità sociale, mettere un tetto agli stipendi dei top manager, proteggere i diritti dei lavoratori, aumentare la spesa pubblica ed adottare una maggiore progressività fiscale’.

Fonte: oxfamitalia.org



sabato 20 gennaio 2018

‘Ora Andrea non c’è più e in casa resta un grande dolore e un silenzio enorme…’

Il lavoro dovrebbe essere un mezzo per realizzare le proprie capacità ed attitudini professionali, invece è, spesso, un luogo di fatica e sofferenza

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da ingegneri.info
‘Andrea aveva 23 anni, tutti i giorni si faceva 80 chilometri per recarsi al lavoro. Il 20 giugno Andrea si alza alle 4 del mattino per essere in fabbrica alle 5. Alle 6,10 la pressa si ferma, Andrea d’istinto si sporge dentro ma all’improvviso la macchina si rimette in moto... Ora Andrea non c’è più e in casa resta un grande dolore e un silenzio enorme... manca la sua musica, la sua chitarra, la sua tromba...’, Morota  Gagliardoni Graziella, mamma di Andrea, morto sul lavoro. Dichiarata dai medici del reparto di terapia intensiva cardiochirurgica dell'ospedale San Raffaele di Milano la morte cerebrale del 61enne operaio dell'azienda Lamina di Milano. Da più di quarant'anni era dipendente dell'azienda ed uomo di fiducia dei titolari, ora in pensione, era rimasto nello stabilimento per formare un collega più giovane. Un lavoratore che 'amava il suo lavoro e ogni giorno dovevamo pregarlo di tornare a casa', ricordano i familiari. 
Yoko Ono e John Lennon - (foto da wikipedia.org)
Giancarlo Barbieri è il quarto operaio deceduto per l'incidente avvenuto nei giorni scorsi nell'azienda milanese. Nella stessa fossa che conteneva il forno per l’acciaio infestato dall’azoto hanno perso la vita il fratello Arrigo di 57 anni, l’operaio Giuseppe Setzu di 48 anni e l’elettricista di una dita esterna Marco Santamaria di 43 anni. Il giorno dopo, sotto gli occhi del padre, è morto, schiacciato dal tornio su cui era rimasta incastrata una manica del suo maglione, un giovane operaio 19enne di Rovato, in provincia di Brescia.
Questi sono gli ultimi episodi di una ‘mattanza’ che si ripete quotidianamente. E, nonostante gli obblighi sempre più stringenti per i datori di lavoro introdotti con il Testo unico sulla sicurezza sul lavoro entrato in vigore nel 2008, i casi di morte e di malattie professionali rimangono una costante del nostro sistema produttivo. Il motivo è sempre lo stesso: l'esasperata ricerca del 'profitto'. I lavoratori su istruzione del ‘padrone’ o semplicemente di propria iniziativa, talvolta, eseguono la loro mansione senza rispettare le norme previste dai protocolli sulla sicurezza, che, è bene ricordarlo, sono obbligatori in tutti i luoghi di produzione. 
'Il lavoro è vita e senza quello esiste solo paura e insicurezza' scriveva John Lennon nel 1969, ma purtroppo troppo spesso esso si trasforma in tragedia. E tutte le precauzioni del mondo non basteranno ad evitarle, almeno fino a quando al centro dell’attività produttiva anziché il profitto e gli speculatori non ci saranno il lavoro ed i lavoratori. 

domenica 14 gennaio 2018

I bulli e la #malascuola

Gli atti di violenza subite negli ultimi mesi dai docenti rappresentano il fallimento della scuola italiana e dei politici che negli ultimi decenni hanno tentato, inutilmente, di riformarla

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)


Salvo Busà l'insegnante malmenato ad Avola e la ministra
Valeria Fedeli - (foto da secoloditalia.it)
‘Invito il ragazzo a chiudere una finestra prima di andare in palestra per gli esercizi. E lui mi manda a quel paese, senza chiuderla. Insisto e alzo la voce. La risposta è il lancio di un libro. Un lancio contro di me. Il libro finisce per terra. Lo prendo e lo poggio su un banco. Rimprovero ancora quell’insolente che afferra il telefonino. Mezz’ora dopo l’arrivo di padre e madre...’. Questa è la dichiarazione rilasciata al quotidiano la Repubblica dal professore di Educazione fisica di Avola picchiato pochi giorni fa dai genitori di un suo alunno. La dinamica della vicenda non è nuova. Negli ultimi anni sempre più spesso gli insegnanti delle scuole medie e soprattutto di quelle superiori sono stati oggetto di atti di violenza da parte dei genitori dei loro alunni.
Foto da news.leonardo.it
Una volta la figura del docente era ‘vista’ con rispetto, oggi una parte sempre più numerosa di ragazzi non solo non si impegna nello studio ma si comporta in modo ‘aggressivo’ nei confronti dei compagni ed in alcuni casi anche degli insegnanti. E, quel che è peggio, questi atteggiamenti da ‘bulli’ trovano, spesso, la copertura e talvolta il sostegno delle famiglie che, anziché fare autocritica e richiamare i figli a tenere un comportamento ‘civile’, li difendono accusando i docenti di incapacità o, come in questo caso, di essere la causa scatenante del fatto. Negli ultimi due decenni sono state approvate diverse riforme della scuola, ma nessuna ha tenuto conto del clima d’intimidazione di cui spesso sono vittime i professori. Gli obiettivi degli ultimi governi sono stati quelli di tagliare le risorse finanziarie (riforma Gelmini) o di adeguare la scuola alle esigenze produttive e di mercato delle imprese (#buonascuola con l’alternanza scuola/lavoro). Inoltre, sono stati modificati i programmi ministeriali, ma non sono state incrementate le ore d’insegnamento delle discipline giuridiche ed economiche che, è bene ricordarlo, non sono previste nei licei (fanno eccezione quelli con indirizzo psichico - pedagogico, cioè gli ex istituti magistrali ed il biennio degli istituti tecnici e professionali). 
Foto da tg24com.mediaset.it
Oltre a ciò, l’aumento del numero minimo di alunni per formare le classi (le cosiddette classi pollaio) ha spinto gli istituti ad una spietata concorrenza e ad evitare, nei limiti del possibile, le bocciature o gli abbandoni. Per non parlare delle iscrizioni ‘fasulle’. Situazioni di cui sono consapevoli i ragazzi e le loro famiglie. Il risultato è stato un crollo dei livelli di apprendimento e la crescita di comportamenti 'scorretti' da parte degli alunni. In questo clima di sfiducia gli insegnanti, che spesso sono impegnati in inutili corsi di formazione o nella realizzazione di progetti (che hanno come scopo anche quello di incentivare gli stipendi dei presidi), sono senza difese, sono costretti, cioè, a subire le angherie dei ‘bulli’ ed i ‘richiami’ dei dirigenti che non intendono intervenire con provvedimenti disciplinari o con bocciature proprio per non perdere alunni e cattedre o comunque per non assumersi responsabilità dirette con le famiglie. Non devono stupire quindi i crescenti atti di vandalismo. La scelta fatta dall'èlite politica sull’istruzione pubblica è evidente. Si vogliono buoni consumatori, anziché buoni cittadini. L’obiettivo è un ritorno al modello d’istruzione degli anni Sessanta, quando c’erano due tipi scuola pubblica, una di eccellenza per i benestanti ed un’altra di base per i ceti medio - bassi. Ed il risultato finale di questo processo sarà quello di incrementare, ancora una volta, l’individualismo e l’ingiustizia anziché il progresso civile e culturale di tutta la società.

Fonte: repubblica.it

domenica 7 gennaio 2018

Il Reddito di inclusione creerà disuguaglianze anche tra i poveri

Sono 75.885 le domande presentate per usufruire del Reddito di inclusione, oltre sei su dieci sono istanze inoltrate dei cittadini residenti nelle regioni del Sud 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da sinistrainrete.info
Il Rei è una misura a sostegno delle famiglie più povere e riguarda i nuclei con minori, disabili, donne in gravidanza a quattro mesi dal parto e over 55 disoccupati. L’importo può variare da un minimo di 187 euro fino ad un massimo di 485 euro mensili (5.824,80 l’anno). Possono usufruirne le famiglie che hanno un Isee inferiore ai 6.000 euro ed un patrimonio (esclusa la prima casa) non superiore a 20.000 euro ed un valore mobiliare non superiore a 6.000 euro. Il 64,7% delle domande presentate dall’inizio di dicembre ad oggi proviene dalle regioni del Mezzogiorno, il 35,3% da quelle del Centro-Nord. Questo significa che oltre sei richieste su dieci provengono da cittadini del meridione. Il maggior numero di domande sono state trasmesse dalla Campania con 16.686 (22%), dalla Sicilia con 16.366 (21,4%) e dalla Calabria con 10.606 (14,0%). Questi dati comunicati dall’Inps non sorprendono, anzi sono un’ulteriore dimostrazione della condizione di povertà in cui vive una parte consistente della popolazione del Sud dell’Italia. Inoltre, la ripresa economica sottolineata con tanta enfasi dal presidente del Consiglio e dai principali esponenti del Partito democratico è così limitata che anziché ridurre le distanze sociali li sta incrementando sia a livello territoriale che tra le diverse categorie.
Foto da possibile.com
Secondo il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, le famiglie che dovrebbero beneficiare della misura sono circa settecentomila, dovrebbe interessare cioè ‘1,8 milioni di persone’ con la prospettiva di arrivare a luglio a circa ‘2,5 milioni di persone’. La cifra stanziata dal governo è di 1,7 miliardi, destinati a crescere fino a 2 miliardi l’anno, questo significa che in media saranno erogati circa 200 euro mensili. Per Tito Boeri è una somma insufficiente. ‘La soglia di povertà nelle grandi città del Nord – ha rilevato il presidente dell’Inps - è superiore agli 800 euro a persona, mentre quella nazionale è attorno ai 600 e che i poveri in Italia si stimano attorno ai 4,5 milioni’. Insomma, l’importo che sarà accreditato non solo non sarà adeguato per garantire una vita dignitosa a chi otterrà il contributo, ma esso non riguarderà tutti i poveri. Sembra un paradosso, ma il provvedimento creerà disuguaglianze anche tra gli indigenti. L’ingiustizia è ancora più odiosa se confrontiamo la condizione economica dei più bisognosi con quella di chi percepisce redditi e pensioni d’oro. In ogni caso queste forme di assistenza sono un’umiliazione ed una limitazione delle libertà per chi dovrà avvalersene. La povertà e l’esclusione sociale non si combattono con l’assistenzialismo, ma creando le condizioni che permettano a tutti di esercitare il diritto al lavoro sancito dall’articolo 4 della Costituzione italiana che, è bene ricordarlo, è entrata in vigore settant’anni fa.

Fonte: inps.it