Quando
Umberto Bossi fondò la Lega l’obiettivo si chiamava secessione, oggi lo stesso
partito guidato da Matteo Salvini invoca l’autonomia, ma la sostanza è sempre
la stessa: arricchire ancora di più il Nord
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
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Foto da economia.rai.it |
I governatori delle
Lombardia, del Veneto e dell’Emilia Romagna, le regioni più ricche d’Italia,
hanno chiesto maggiore autonomia legislativa, vale a dire più poteri così come
stabilisce il comma 3 dell’art. 116 della Costituzione italiana: ‘… Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma
dell'articolo 117 e le materie
indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all'organizzazione
della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad
altre Regioni, con legge dello Stato,
su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto
dei principi di cui all'articolo 119. La
legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei
componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata’.
Le materie oggetto
della possibile ‘autonomia’ sono tante, per introdurle basterà una legge ordinaria, cioè non sarà necessaria la modifica della Costituzione. In particolare, esse si riferiscono alla giustizia, all’istruzione, all’ambiente, all’ecosistema
ed ai beni culturali (secondo comma dell’articolo 117). Mentre quelle del terzo comma dello stesso articolo riguardano
la cosiddetta legislazione concorrente che stabilisce:’… alle Regioni spetta la
potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali,
riservata alla legislazione dello Stato’. Essa riguarda ‘I rapporti con l’Ue, commercio con l'estero;
tutela e sicurezza del lavoro; istruzione; professioni; ricerca scientifica e
tecnologica; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo;
protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi
reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione;
produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza
complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e
organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende
di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a
carattere regionale’.
Se l’intesa diventerà legge, la disgregazione dello Stato nazionale sarà nei fatti, si scriverà autonomia, ma si leggerà ‘secessione’. Dopo che le tre regioni del Nord,
che producono circa metà del Pil nazionale, hanno sottoscritto il 28 febbraio
del 2018 accordi preliminari con il governo, anche le altre si stanno attivando.
Piemonte, Liguria, Toscana, Marche e Umbria hanno conferito il mandato per
avviare negoziati con il governo. Mentre la Campania, il Lazio, il Molise, la Puglia e la Calabria hanno mosso passi informali per l’autonomia. Non hanno fatto richieste
l’Abruzzo e la Basilicata e, ovviamente, le regioni a statuto speciale, cioè
Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige,
nonché le province autonome di Bolzano e Trento.
‘La botte piena e la
moglie ubriaca’, è questo il fine ultimo, è la sublimazione del leghismo. E’ la secessione senza la secessione e, per certi aspetti, è
qualcosa di più, è la fine dell’Unità del Paese senza cambiare la forma di
Stato. Rimarremo formalmente tutti italiani, ma avremo cittadini di serie A e
cittadini di serie B. ‘E’ un processo che aumenta le diseguaglianze’, ha dichiarato il nuovo segretario della Cgil, Maurizio
Landini. Ed ancora: ‘Se le bozze si trasformano in legge è come se si
avesse tanti Stati all’interno di uno stesso Stato, e quindi è come se lo Stato
non esistesse più’.