giovedì 18 ottobre 2018

Condono fiscale a 5 stelle


Ancora una volta e, nonostante i proclami elettorali dei grillini, con il condono fiscale ‘pentaleghista’ ci si fa beffe dei contribuenti onesti e si premiamo gli evasori ed i furbetti delle cartelle esattoriali

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Luigi Di Maio
Il Cdm ha approvato la manovra finanziaria. Tra i provvedimenti emanati c'è la cosiddetta ‘Pace fiscale’. Si tratta di un vero è proprio condono. Insomma, Luigi Di Maio come Silvio Berlusconi nel 2002.
Il Decreto prevede un’aliquota del 20% per sanare il pregresso di chi ha già presentato la dichiarazione dei redditi. Inoltre, con una comunicazione integrativa è possibile far emergere un altro 30% in più rispetto alle somme già dichiarate. Il limite massimo è di 100.000 euro per ogni imposta e per ogni anno integrato. Teoricamente è possibile risanare 2 milioni di euro pagando solo un quinto (20%) di quanto dovuto. Ed è certo che ad usufruirne non saranno solo i piccoli artigiani ed i commerciarti che a causa della crisi non sono riusciti ad adempiere agli obblighi tributari.
Oltre a ciò è prevista la rottamazione delle ingiunzioni di pagamento fino a mille euro. Saranno cancellati i crediti dovuti all’Erario dal 2000 al 2010. Il condono riguarda milioni di cittadini che per anni si sono fatti beffe delle regole e delle istituzioni ed anche in questo caso non si tratta solo di nullatenenti, ma di veri e propri furbetti delle cartelle esattoriali.
Durante l'ultima campagna elettorale il leader del M5s Luigi Di Maio ha dichiarato più volte la sua contrarietà ad ogni forma di condono. Ma da quando il MoVimento è al governo ha cambiato opinione più volte. Sulla Tav (Treno alta velocità S.p.A.), sulla Tap (Trans-adriatic pipeline), sui migranti, sulla legittima difesa ed ora sul condono. In cambio ha ottenuto poco o nulla. Una limatura sulle pensioni d’oro (quello previsto non è un taglio ma un contributo di solidarietà) ed una riduzione delle indennità sui vitalizi, peraltro già aboliti nella precedente legislatura. Il reddito di cittadinanza si sta prefigurando come un allargamento del Rei introdotto dal governo di Paolo Gentiloni. Se si escludono un miliardo per i Centri per l’impiego ed i 2,9 miliardi già stanziati dal Reddito di inclusione, l’importo aggiuntivo previsto dal Def è di 6 miliardi. Insomma un Rei rafforzato ed allargato a più soggetti, ma, di certo, con risorse non adeguate per ‘abolire la povertà’.
Con questa manovra il governo giallo-verde è sempre più a trazione leghista. Il Carroccio pur avendo conseguito alle elezioni solo il 17% dei consensi sta realizzando il suo programma elettorale: la reintroduzione delle pensioni di anzianità, una mini flat tax, il condono, la legittima difesa e la dissoluzione delle politiche d’integrazione dei migranti (caso Riace). E se l’Unione europea o i mercati finanziari dovessero mettersi di traverso c’è sempre l’opzione B: elezioni anticipate, uscita dall’Euro e secessione, obiettivo quest’ultimo che, è bene ricordarlo, non è mai stato abbandonato dai fan di Albert De Giussan.


sabato 13 ottobre 2018

I tempi per la ricostruzione del ponte Morandi saranno ‘biblici’ come per il viadotto Himera?

Il rifacimento della carreggiata del viadotto Himera dell’autostrada Palermo – Catania, ceduto nel 2015 a causa di una frana, sarà completato nel 2020. La ricostruzione del ponte crollato a Genova avverrà con gli stessi tempi ‘biblici’?

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Il viadotto Himera e la bretella costruita dall'Anas
Era il 10 aprile del 2015 quando cedette lungo l’autostrada A19 Palermo - Catania il viadotto Himera. Non ci furono morti, ma dal quel giorno iniziarono i disagi per gli automobilisti che da Palermo dovevano recarsi nelle città della Sicilia centro - orientale. L'interruzione, causata da una frana, divise l'isola in due. Non esiste, infatti, un'altra autostrada che attraversi la Sicilia da Nord a Sud o da Est ad Ovest e viceversa. Per diversi mesi, cioè fino al 2016 quando l’Anas finì di costruire una bretella (la trazzera finanziata dai grillini era ed è troppo pericolosa per essere considerata un’alternativa valida), gli automobilisti furono costretti a fare il giro da Polizzi Generosa. Dovevano cioè percorrere una strada statale fatiscente che allungava il tragitto di oltre mezz’ora prima di poter rientrare sull’A19 per Catania. Tra l'altro è una strada non utilizzabile da camion ed autoarticolati che, pertanto, per attraversare l'isola furono costretti a fare il giro da Messina, oltre 4 ore di autostrada in più. Ebbene, dopo quasi tre anni (febbraio 2018) l’Anas ha espletato la gara e dal giugno scorso sono iniziati i lavori per il rifacimento di 270 metri di viadotto. La carreggiata che sarà realizzata in ferro sarà completata, secondo l'Ente nazionale per le strade, in 570 giorni (apertura prevista nel 2020). Il costo complessivo sarà di 11 milioni di euro.
Insomma, altri due anni, in tutto quasi cinque salvo complicazioni (ritardi nei lavori, risorse insufficienti e ricorsi amministrativi) per ripristinare un’arteria vitale per l’isola. Senza considerare le infiltrazioni mafiose e la scarsa serietà con cui spesso vengono eseguiti i lavori. Del resto le inefficienze ed i ritardi nella realizzazione delle infrastrutture pubbliche al Sud sono la normalità. I lavori per l’autostrada Palermo - Messina iniziati nel 1969 si sono conclusi nel 2005, ci sono voluti, cioè, 36 anni. Paradossale poi il cedimento del viadotto ‘Scorciavacche2’ sulla Statale 121 della Palermo - Agrigento inaugurato nel 2015 alla vigilia di Natale è crollato la notte di Capodanno.
Il ponte Morandi, invece, si trova in una grande città del Nord, dove di solito le opere pubbliche sono realizzate con maggiore celerità e con maggior rispetto delle norme sulla sicurezza. Certo le incertezze e le contrapposizioni evidenziate nella stesura del decreto per Genova e la frettolosa esclusione di Autostrade per la ricostruzione non sono un buon segno. Ma siamo nel ricco e laborioso settentrione ed è certo che il nuovo ponte verrà ricostruito prima che a Scillato l'Anas completi i lavori del viadotto Himera dell'autostrada A19 Palermo - Catania.


sabato 6 ottobre 2018

L’aumento del debito pubblico è una 'iattura' per i lavoratori

‘Lavoro è vita e senza quello esiste solo paura e insicurezza’, John Lennon

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)


Foto da riviera24.it
L’approvazione della nota di aggiornamento del Def e la discussione e presentazione in Parlamento della legge di Stabilità stanno riaccendendo il dibattito sul debito pubblico dello Stato italiano che, secondo l’ultimo bollettino statistico mensile elaborato da Banca d’Italia, ha raggiunto un nuovo record: 2.341,70 miliardi di euro. Oggi, ogni italiano è debitore inconsapevole per 38.694 euro, importo che corrisponde al 131,70% del reddito medio pro capite che è di circa 26.427 euro. Questa percentuale cambia notevolmente se consideriamo le diverse aree geografiche. Nel Mezzogiorno il rapporto è del 153,52% (reddito pro capite 17.984 euro), mentre nel Settentrione è del 114,98% (reddito pro capite 32.899 euro).  
Il motivo di questa sperequazione è semplice: quando l’incremento del debito è finalizzato alla crescita il rapporto con il reddito rimane immutato o diminuisce, al contrario quando non produce ricchezza il rapporto tende a crescere ed anziché risolvere i problemi sociali li aggrava. Ed è così che esso ha determinato un aumento del reddito medio pro capite nelle regioni del Nord, mentre ha progressivamente impoverito i residenti delle regioni meridionali.
Inoltre, il deficit di bilancio determina sempre una crescita nominale del debito pubblico. Per gli economisti questo valore è poco significativo, mentre, per loro, è molto più rilevante il suo rapporto con il Pil. I fautori delle manovre espansive (Keynesiane) affermano, infatti, che con il deficit spending si realizza un aumento del prodotto interno lordo superiore o pari al maggior debito contratto. I detrattori, invece, sostengono che l’aumento della spesa pubblica è efficace se serve a fare investimenti e se il debito pubblico che si va ad incrementare è sostenibile. Lo scontro tra governo ed opposizioni e tra esponenti sovranisti ed Unione europea è su questa contraddittoria dicotomia.
Gli italiani hanno la memoria corta. Il debito su cui, è bene precisarlo, nel 2017 abbiamo pagato 65,6 miliardi di interessi, è un’obbligazione che deve essere sempre onorata. La fiducia dei mercati, che nella sostanza sono i nostri creditori, non è data per sempre. Con l’ultimo governo di Silvio Berlusconi abbiamo già sperimentato come sia pericoloso fare manovre contraendo altri debiti. Nel 2011 a subire le conseguenze delle turbolenze finanziarie sono state soprattutto le classi sociali medio - basse. Per risanare i conti pubblici non sono stati intaccati i grandi patrimoni, ma i redditi dei lavoratori. Basta citare il taglio delle spese per il Welfare (legge Fornero), l’introduzione dell’Imu e della Tasi e la riduzione degli investimenti al Sud. Inoltre, la crisi ha determinato un notevole incremento della disoccupazione e della povertà assoluta.
Con la manovra predisposta dal governo ‘pentaleghista’ si rischia di accrescere inutilmente il debito pubblico e di intaccare ancora una volta la fiducia dei nostri creditori. La lotta alla povertà è condivisibile, ma deve avvenire con la redistribuzione della ricchezza e con la dignità del lavoro. Il rischio, anzi la certezza, è che alla prossima crisi finanziaria a pagare saranno ancora una volta i lavoratori.