Tra
il 2000 ed il 2013 gli enti locali hanno aumentato i tributi di 32,6 miliardi, un importo nettamente
superiore ai tagli subiti dallo Stato
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
Secondo
l’Ufficio studi della Cgia di Mestre tra il 2000 ed il 2013 le tasse locali
sono aumentate di 32,6 miliardi di euro. Nello stesso periodo i tagli ai trasferimenti
effettuati dallo Stato sono stati di 18 miliardi di euro. Regioni e Comuni hanno
ricevuto meno risorse ma con l’introduzione delle nuove imposte locali e con
l’incremento di quelle già esistenti hanno aumentato le disponibilità
finanziarie di 14,6 miliardi di euro.
Questo significa che i
tagli operati dai Governi nazionali per risanare i conti pubblici non hanno
determinato una riduzione degli sprechi della macchina amministrativa di
Regioni e Comuni, ma hanno provocato un
aumento del prelievo fiscale locale per il 48,4%, mentre quello statale è cresciuto ‘solo’ del 36,1%.
Le
imposte che hanno determinato questo incremento sono soprattutto l’Imu e la
Tasi. Con questi
tributi gli enti locali incassano 21,1 miliardi di euro l’anno. Si tratta d’imposte
che non tengono conto della condizione reddituale del soggetto passivo. Inoltre
non è raro, soprattutto nei piccoli centri del Sud Italia, che i cittadini
siano obbligati a pagare queste imposte su abitazioni che hanno ereditato o
costruito con enormi sacrifici ma che sono sfitte o non utilizzabili. Insomma,
negli ultimi quindici anni i
consigli regionali e quelli comunali per far fronte ai tagli operati dello
Stato anziché ridurre le inefficienze e gli sprechi hanno approfittato del
cosiddetto federalismo fiscale per incrementare le entrate tributarie con il solo
risultato di aver aumentato notevolmente la pressione fiscale sui loro
contribuenti.
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