martedì 11 agosto 2015

La rivolta di Bronte e ‘lo scemo del villaggio’

La rivolta dei contadini di Bronte del 2 agosto del 1860, repressa nel sangue da Nino Bixio, luogotenente di Garibaldi, fu causata da secoli di soprusi e dal desiderio di libertà di un popolo che ancora oggi non riesce ad emanciparsi

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da bronteinsieme.it
La popolazione di Bronte all’epoca dello sbarco dei Mille era divisa in due fazioni: da un lato c’erano i “Civili’ detti anche Ducali difensori delle prerogative della nobiltà latifondista rappresentata dalla britannica ‘Ducea di Nelson’; dall’altro c’erano i ‘Comunisti’ o Comunali guidati da Nicolò Lombardo schierati a difesa dei popolani ed intenzionati ad applicare il decreto di Garibaldi del 2 giugno del 1860 con cui aveva promesso la divisione delle terre.
Nei giorni che precedettero la rivolta gran parte della popolazione era ‘angosciata dalla mancata applicazione delle direttive dittatoriali garibaldine, rimaste lettera morta … La correzione dei mali sociali che da sempre affliggevano le classi più povere non s’era verificata’, ha scritto in ‘Risorgimento perduto’ lo storico Antonino Radice.
Il suonatore di trombetta
La mattina del 2 agosto iniziarono i tumulti, nessuno poteva uscire o tornare in paese. ‘Dobbiamo dividerci i beni del Comune, gridavasi, questi signori ci hanno succhiato il sangue nostro, ce lo devono restituire’.
I rivoltosi invasero le strade, saccheggiarono, incendiarono gli archivi del Comune, il Teatro, il ’Casino dei civili’, in tutto 46 case furono distrutte. Nelle stesse ore furono trucidati diversi civili, in tutto i morti furono sedici tra cui il notaio, il cassiere comunale, la guardia municipale, un impiegato del catasto, un contabile, un usciere.
Dietro la sollevazione si celavano secoli di soprusi, fame, odi, miseria e il desiderio di libertà risorte con l’arrivo di Garibaldi e con le speranze suscitate dalle sue promesse di dare soddisfazione alle rivendicazioni contadine. Ma non fu così.
La vendetta
Le truppe garibaldine guidate da Nino Bixio furono chiamate a ristabilire l’autorità del governo dittatoriale di Garibaldi. Eseguirono arresti tra la popolazione civile, processi sommari e condanne a morte.
All’alba del 10 agosto i cinque condannati furono portati davanti alla piazzetta del convento di Santo Vito e qui fucilati, ma nessuno ebbe il coraggio di sparare a Nunzio Ciraldo Fraiunco considerato ‘lo scemo del villaggio’ perché incapace d’intendere e di volere. Nell’illusione che fosse stato miracolato dalla Madonna Addolorata, il condannato s’inginocchiò ai piedi di Nino Bixio, ma di fronte alla sua invocazione ad avere pietà fu giustiziato con un colpo di pistola alla testa. La sua unica colpa fu di aver soffiato, nei giorni della rivolta, in una trombetta di latta ed aver cantato per le strade di Bronte: ’Cappeddi guaddattivi, l’ura dù jiudiziu s’avvicina, populu nun mancari all’appellu’.

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