La
rivolta dei contadini di Bronte del 2 agosto del 1860, repressa nel sangue da
Nino Bixio, luogotenente di Garibaldi, fu causata da secoli di soprusi e dal
desiderio di libertà di un popolo che ancora oggi non riesce ad emanciparsi
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
Foto da bronteinsieme.it |
La
popolazione di Bronte all’epoca dello sbarco dei Mille era divisa in due
fazioni: da un lato
c’erano i “Civili’ detti anche Ducali difensori delle prerogative della nobiltà
latifondista rappresentata dalla britannica ‘Ducea di Nelson’; dall’altro
c’erano i ‘Comunisti’ o Comunali guidati da Nicolò Lombardo schierati a difesa
dei popolani ed intenzionati ad applicare il decreto di Garibaldi del 2 giugno
del 1860 con cui aveva promesso la divisione delle terre.
Nei
giorni che precedettero la rivolta gran
parte della popolazione era ‘angosciata dalla mancata applicazione delle
direttive dittatoriali garibaldine, rimaste lettera morta … La correzione dei mali sociali che da
sempre affliggevano le classi più povere non s’era verificata’, ha scritto in ‘Risorgimento
perduto’ lo storico Antonino Radice.
Il suonatore di trombetta |
La
mattina del 2 agosto iniziarono i tumulti, nessuno poteva uscire o tornare in paese. ‘Dobbiamo
dividerci i beni del Comune, gridavasi,
questi signori ci hanno succhiato il sangue nostro, ce lo devono restituire’.
I
rivoltosi invasero le strade, saccheggiarono, incendiarono
gli archivi del Comune, il Teatro, il ’Casino dei civili’, in tutto 46 case
furono distrutte. Nelle stesse ore furono trucidati diversi civili, in tutto i
morti furono sedici tra cui il notaio, il cassiere comunale, la guardia
municipale, un impiegato del catasto, un contabile, un usciere.
Dietro
la sollevazione si celavano secoli di soprusi, fame, odi, miseria e il desiderio di libertà risorte
con l’arrivo di Garibaldi e con le speranze suscitate dalle sue promesse di
dare soddisfazione alle rivendicazioni contadine. Ma non fu così.
La vendetta |
Le
truppe garibaldine guidate da Nino Bixio furono chiamate a ristabilire l’autorità del governo
dittatoriale di Garibaldi. Eseguirono arresti tra la popolazione civile,
processi sommari e condanne a morte.
All’alba
del 10 agosto i cinque
condannati furono portati davanti alla piazzetta del convento di Santo Vito e
qui fucilati, ma nessuno ebbe il coraggio di sparare a Nunzio Ciraldo Fraiunco
considerato ‘lo scemo del villaggio’
perché incapace d’intendere e di volere. Nell’illusione che fosse stato
miracolato dalla Madonna Addolorata, il condannato s’inginocchiò ai piedi di
Nino Bixio, ma di fronte alla sua invocazione ad avere pietà fu giustiziato con
un colpo di pistola alla testa. La sua unica colpa fu di aver soffiato, nei
giorni della rivolta, in una trombetta di latta ed aver cantato per le strade di
Bronte: ’Cappeddi guaddattivi, l’ura dù
jiudiziu s’avvicina, populu nun mancari all’appellu’.
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