martedì 21 luglio 2015

A Palermo ritorna la stagione dei veleni

Dopo quella del 1989 anche l’estate del 2015 sarà una stagione di veleni. Tra conferme, smentite, accuse e complotti è assai probabile che, come avvenne con le missive del ’corvo’, non sapremo mai la verità sulla telefonata di Tutino

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

La prima volta che si parlò del ‘corvo’ fu il luglio del 1989, un mese prima, il 20 di giugno, c’era stato il fallito attentato sul litorale dell’Addaura che aveva come obiettivo il giudice Giovanni Falcone.
In quella torrida estate cinque missive anonime furono inviate alle più alte cariche dello Stato con lo scopo di denunciare irregolarità nell’attività del pool antimafia. Il ’corvo’ accusò il giudice Giovanni Falcone ed i suoi colleghi di aver mandato in ‘missione’ a Palermo il pentito Salvatore Contorno.
Luigi Vicinanza
Ad essere sospettato fu il magistrato Alberto Di Pisa ma, come spesso succede in Italia, dopo aver subito due processi fu assolto ‘per non aver commesso il fatto’ e reintegrato. Ad incastrare il presunto autore delle lettere furono le impronte digitali ‘rubate’ dall’allora commissario antimafia Domenico Sica, ma subito dopo esse andarono perse. L’avvocato di Alberto Di Pisa, Gioacchino Sbacchi, accusò i servizi di avere manipolato le prove e di aver trovato nel suo assistito un capro espiatorio.
Sono trascorsi 26 anni e la stagione dei veleni ritorna con connotati ancora più drammatici di quelli del 1989.
La vicenda della telefonata tra Rosario Crocetta e il suo medico personale, Matteo Tutino, è ormai un giallo. La procura smentisce, ma il settimanale l’Espresso conferma. Crocetta parla apertamente di complotto: “Se l’Espresso ha il materiale, lo consegni ai magistrati. Il governo nomini subito una commissione d’inchiesta per accertare quali servizi e quali poteri oscuri abbiano tentato di farmi fuori”. Ed ancora: “Non mi dimetto, sono un combattente e un combattente muore sul campo. Se lo facessi, la darei vinta ai poteri forti. Il Pd vuole le mie dimissioni? Mai, mi sfiducino, così si renderanno complici dei golpisti e passeranno alla storia come coloro che hanno ammazzato il primo governo antimafia della Sicilia”.  
La telefonata trascritta dal giornalista Piero Messina, capo redattore alla Regione Sicilia che Crocetta licenziò appena eletto governatore, risale al 2013, come conferma il direttore dell’Espresso Luigi Vicinanza. Se è così, come mai il suo contenuto è stato divulgato solo adesso? In secondo luogo, un giornale così autorevole non dovrebbe pretendere dalla sua fonte una copia della registrazione prima di procedere con la pubblicazione di fatti così gravi? Il presidente della regione Sicilia è un simbolo dell’antimafia e dal 2003 vive sotto scorta per le ripetute minacce di morte da parte della Mafia. Adesso lo si sospetta addirittura di ‘stragismo’. La cautela è sempre un obbligo deontologico per un giornale ma in questo caso essa deve essere doppia o tripla. Siamo in Sicilia e parliamo di Mafia e di ‘servizi’ e ‘poteri oscuri’. Il giornale non può limitarsi a dire che la registrazione esiste e ‘affidarsi’ alla veridicità della trascrizione fatta dai suoi giornalisti.
“Faremo un’azione civile risarcitoria chiedendo a l’Espresso 10 milioni di danni”. Lo ha annunciato oggi in conferenza stampa a Palermo il legale del Presidente della regione Sicilia. L’avvocato Vincenzo Lo Re che dice: ”Non voglio credere alla malafede ma all’errore professionale”, ha annunciato poi querele per Il Fatto quotidiano e per il giornalista Pietrangelo Buttafuoco, oltre ad una denuncia per diffamazione nei confronti di Maurizio Gasparri. 
Questa estate sarà particolarmente ‘calda’ nei palazzi della politica siciliana, sarà una #stagionedeivelenibis, simile cioè a quella del 1989 e, come avvenne allora con le missive del ‘corvo’, è assai probabile che non sapremo mai la verità sul contenuto della telefonata di Tutino, sempreché essa esista veramente. 

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