giovedì 26 gennaio 2023

‘Ad Auschwitz tante persone, ma un solo grande silenzio …’

Carnefici e vigliacchi coloro che ordinavano, coloro che scortavano, coloro che sprangavano le porte delle docce e coloro che azionavano il gas. Carnefici e vigliacchi coloro che ancora oggi si richiamano a quei dogmi volgari ed insulsi

di Giovanni Pulvino

Le parole sono importanti. Il luogo, il tempo, il tono con cui le abbiamo pronunciate ne cambiano il senso. Quello che volevamo dire è sempre diverso da quello che abbiamo pensato, che è diverso da quello che abbiamo pronunciato, che è diverso da quello che gli altri hanno compreso. Incomunicabilità? Fraintendimenti? Che importa. Sono solo pensieri che diventano parole o semplicemente rimangono tali, inutili ed effimeri come tutto, come tutti. Di certo destinati all’oblio, al nulla.

A volte utilizziamo termini di cui non conosciamo il significato. Ogni 27 gennaio ricordiamo con la mente e con il cuore la tragedia della Shoah. Pronunciamo questa parola con dolore, ma ne comprendiamo il senso?

Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: considerate se questo è un uomo. Che lavora nel fango, che non conosce pace, che lotta per mezzo pane, che muore per un sì o per un no. Considerate se questa è una donna, senza capelli e senza nome, senza più forza di ricordare, vuoti gli occhi e freddo il grembo, come una rana d’inverno. Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore, stando in casa andando per via, coricandovi alzandovi, ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi’.

I tormenti di Primo Levi in ‘Se questo è un uomo’ dicono tutto, ma come arrivano nei nostri cuori e nelle nostre menti? Noi non c’eravamo, non sappiamo nulla di quella sofferenza, come possiamo comprenderla?

Non tutti sanno che la parola Shoah in ebraico vuol dire annientamento. Per i nazisti ed i fascisti non c’erano tentennamenti o piani B, l’obiettivo era l’eliminazione di tutti gli ebrei e non solo.

Uomini, donne, bambini e vecchi dovevano morire.

Nei campi di sterminio c’era anche chi rinunciò a lottare perché comprese l’inutilità dei gesti, delle parole, della famelica ricerca del cibo, dell’aggrapparsi ad una vita destinata a non essere più ed ha deciso di non aspettare, di lasciarsi andare, di 'stabilire' come e quando morire.  

Era sufficiente non ubbidire per non subire le angherie dei carnefici, per essere liberi, per decidere il momento e la sorte a cui si era destinati.

Bastava poco per non essere più, potevano essere gli stenti causati dalla fame e dal freddo, la bastonata di un kapò, l’alta tensione del filo spinato che li imprigionava, oppure fucilati per il gusto e la cattiveria di un nazista qualunque o peggio ancora ammassati nelle camere a gas.

Ecco questa è stata la Shoah, l’annientamento dell’uomo, della sua dignità, della sua vita.

Carnefici e vigliacchi coloro che ordinavano, coloro che scortavano, coloro che sprangavano le porte delle docce, coloro che azionavano il gas.

Carnefici e vigliacchi coloro che ancora oggi si richiamano a quei dogmi volgari ed insulsi. Carnefici e vigliacchi coloro che non hanno fatto i conti con la storia.

‘Ad Auschwitz tante persone, ma un solo grande silenzio: è strano non riesco ancora a sorridere qui nel vento, a sorridere qui nel vento. Io chiedo come può l'uomo uccidere un suo fratello ...'

Ma com’è stato possibile tutto questo? 

Fonte viafabbri43.net

venerdì 20 gennaio 2023

‘La disuguaglianza non conosce crisi’

Lu saziu nun criri a lu diunu’ dice un proverbio siciliano. Chi vive nel benessere non può capire chi vive in povertà

di Giovanni Pulvino

Foto da oxfamitalia.org
‘Dal 2020 l’1% più ricco si è accaparrato quasi il doppio dell’incremento della ricchezza netta globale rispetto al restante 99% della popolazione mondiale’. A sostenerlo è il nuovo rapporto ‘La disuguaglianza non conosce crisi’ pubblicato da Oxfam in occasione dell’apertura dei lavori del World Economic Forum di Davos. Durante la pandemia l’1% più ricco ha visto crescere il proprio patrimonio di 26.000 miliardi di dollari, cioè il 63% dell’incremento globale. Il 37% è invece andato al 99% più povero della popolazione.

È un record storico.

Le ricchezze di un miliardario ‘sono aumentate di 2,7 miliardi di dollari al giorno nell’ultimo triennio’. Tutto questo nonostante la crisi dei mercati finanziari.

Nel 2022 le ‘95 aziende, big dell’energia e le multinazionali del cibo, hanno raddoppiato i loro profitti’. Nello stesso tempo circa 1,7 miliardi di lavoratori vivono in Paesi dove l’inflazione è maggiore dell’incremento dei salari.

‘820 milioni di persone , cioè 1 su 10 , soffrono la fame’.

Per la prima volta in 25 anni aumentano contemporaneamente estrema ricchezza ed estrema povertà. Crisi dopo crisi i molteplici divari si sono acuiti, rafforzando le iniquità generazionali, ampliando le disparità di genere e gli squilibri territoriali’, ha dichiarato Gabriela Bucher, direttrice esecutiva di Oxfam International. Ed ancora: ‘Un sistema fiscale più equo, a partire da un maggiore prelievo sugli individui più facoltosi, è uno degli strumenti di contrasto alle disuguaglianze. Un’imposta del 5% sui grandi patrimoni potrebbe generare per i Paesi riscossori risorse da riallocare per obiettivi di lotta alla povertà a livello globale affrancando dalla povertà fino a 2 miliardi di persone’.

Secondo la Banca Mondiale ‘stiamo assistendo al più grande aumento di disuguaglianza e povertà globale dal secondo dopoguerra. Interi Paesi rischiano la bancarotta e quelli più poveri spendono oggi quattro volte di più per rimborsare i debiti rispetto a quanto destinano per la spesa pubblica in sanità.

Lu saziu nun criri a lu diunu’ dice un proverbio siciliano. Chi vive nel benessere non può capire chi vive in povertà

Non possiamo fare finta di niente, ogni giorno dobbiamo decidere se essere solidali o indifferenti.

E come diceva Don Lorenzo Milani: Non c'è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali’.

Fonte oxfamitalia.org

domenica 15 gennaio 2023

Salgono le accise, scende lo spread

La decisone del governo sulle accise non è stata ideologica, ma è stata determinata dall’esigenza di contenere il deficit di bilancio, per Giorgia Meloni non è più tempo di essere coerente

di Giovanni Pulvino

L'andamento del debito pubblico dal 1865 al 2021

Il governo di Giorgia Meloni ha deciso di non prorogare lo sconto sulle accise introdotto dall’esecutivo di Mario Draghi. Un provvedimento in netto contrasto con quanto affermato dalla stessa leader di FdI qualche mese fa quando era all’opposizione. Nel programma elettorale c’era scritto: ’Sterilizzazione delle entrate dello Stato da imposte su energia e carburanti e automatica riduzione di Iva e accise’.

I tentativi di smentita degli esponenti della Destra su questa palese incongruenza sono stati puerili. Ma perché il nuovo presidente del Consiglio ha rinnegato quanto aveva affermato?

L’Esecutivo guidato da FdI è sotto 'osservazione'. La decisone del Governo non è stata ideologica, ma è stata determinata dall’esigenza di contenere il deficit di bilancio

La cautela nell’allargare i cordoni della borsa è giustificata. Il nostro Paese è fortemente indebitato. Il rialzo dei tassi d’interesse per frenare l’inflazione ha allargato lo spread con in Bund tedeschi ed ha portato i tassi sui Btp a sfiorare il 5%.

Una manna per i rendimenti dei risparmi dei privati, ma è molto pericoloso per la tenuta del debito pubblico. È prioritario raffreddare le tensioni sui titoli di Stato. Ridurre il deficit di bilancio e il debito pubblico sono problematiche finanziarie che qualunque governo dovrebbe affrontare.

Ed è per questo che la Destra, forte dei consensi elettorali ottenuti nelle ultime elezioni, si sta limitando a seguire la politica economica indicata dal precedente governo di Mario Draghi. 

Prima la pandemia, poi la guerra tra Russia e Ucraina, ora l’inflazione al 10%, per chiunque non sarebbe facile, ma FdI deve stare attenta ad un altro elemento: il sovranismo. Dopo quello leghista e grillino, ora dovremo subire anche quello di estrema Destra. 

Meno tasse, meno immigrati, più liberismo, meno diritti, meno Europa, più autonomia differenziata, presidenzialismo, revisionismo, ect… Tutte iniziative che possono incrementare le diseguaglianze e mettere in discussione i valori democratici ed antifascisti dell’Italia repubblicana.  

La Destra deve andarci con cautela ed è quello che sta facendo, ma è solo questione di tempo, quello che è successo negli Stati Uniti d’America dopo l’elezione di Biden ed in Brasile dopo l’elezione di Lula non è casuale.

Salgono le accise, scende lo spread, ma il Governo non rinuncerà alle politiche nazionaliste e sovraniste e solo una questione di tempo.

lunedì 9 gennaio 2023

Bob Dylan - Hurricane


Video da yuotube.com

'Ora tutti i criminali coi loro cappotti e le loro cravatte
Sono liberi di bere Martini e guardare l'alba
Mentre Rubin siede come Budda in una piccola cella
Un innocente in una camera infernale
Questa è la storia di Uragano
Ma non sarà finita finché non gli ridaranno il suo nome
E il tempo perso
Messo in una prigione, ma un tempo lui avrebbe potuto essere
Il campione del mondo'

Hurricane - Bob Dylan

Di Bob Dylan e Jacques Levy
Dall'album: Desire - Columbia Records, 1976

giovedì 5 gennaio 2023

Cristiano Ronaldo guadagnerà 547.945,205 euro al giorno

Nel mondo del calcio non ci sono limiti alla decenza, il contratto faraonico firmato da Cristiano Ronaldo è uno schiaffo morale a quanti vivono in povertà o che devono sudarsi un salario appena sufficiente per una esistenza dignitosa

di Giovanni Pulvino

Cristiano Ronaldo - (foto da wikipedia.org)

Cristiano Ronaldo ha firmato un contratto faraonico con il club saudita l’Al Nassr. Dopo la delusione dei mondiali di calcio del Qatar, dove spesso è rimasto in panchina, il fuoriclasse portoghese si è consolato con l’ingaggio di una squadra che è piena di soldi ma povera di campioni.

200 milioni di euro a stagione fino al 2025. Il calciatore ex Juventus percepirà 16.666.666,70 di euro al mese, 547.945,20 euro al giorno, 45.662,10 euro ogni ora, 761,04 al minuto e 12,68 euro al secondo. Tutto per giocare a pallone. 

Non solo. Altri 500 milioni li guadagnerà per fare da testimonial dell’Arabia Saudita per l'assegnazione dei Mondiali 2030 con Egitto e Grecia. 100 milioni di euro all’anno solo per fare rappresentanza.

Tutto questo senza considerare le sponsorizzazioni ed eventuali consulenze.

Dopo aver letto questa notizia chissà cosa avranno pensato le madri che non sanno come sfamare i loro figli o i padri che devono lavorare tutto il giorno per guadagnare, si fa per dire, pochi euro. E chissà come avranno reagito i braccianti che si spaccano la schiena a raccogliere i pomodori nei campi della Puglia o gli operai che rischiano la salute nelle acciaierie dell’ex Ilva di Taranto. O come avranno imprecato le centinaia di lavoratori di Almaviva che devono continuamente elemosinare la stabilità del loro lavoro e che vivono con l’ansia della cassa integrazione o della disoccupazione. O come avranno inveito contro il sistema i tanti giovani laureati costretti a fare lavori precari e non corrispondenti agli studi fatti e che probabilmente saranno costretti ad emigrare …

È un mondo ingiusto. Dovrebbe farci indignare, invece in tanti ritengono che queste diseguaglianze siano inevitabili. E che la povertà e la precarietà siano colpe individuali e non conseguenze del sistema economico. E che, pertanto, sia giusto che chi sa dare due calci ad un pallone debba vivere come un nababbo e chi invece è nato nel posto sbagliato o non ha capacità 'adeguate' debba vivere in miseria.

Le differenze sociali ci sono sempre state, è vero, ma quel che indigna è la rassegnazione e l’indifferenza dei tanti che potrebbero lottare per ridurle o eliminarle eppure non lo fanno.

Fino a quando accetteranno con indifferenza le regole di un sistema economico iniquo ed ingiusto? Cos’altro dovrà succedere per ribellarsi?

venerdì 30 dicembre 2022

Ora e sempre Resistenza

‘Su queste strade se vorrai tornare, ai nostri posti ci ritroverai, morti e vivi collo stesso impegno, popolo serrato intorno al monumento, che si chiama, ora e sempre Resistenza’, Piero Calamandrei

di Giovanni Pulvino

Foto da articolo21.org

Nel 1952 il generale nazista Albert Kesserling, comandante delle forze di occupazione tedesche in Italia fra il 1943 ed il 1945, dichiarò che gli italiani dovevano essergli grati e che avrebbero dovuto dedicargli un monumento. La risposta di Piero Calamandrei fu senza se e senza ma. Ecco che cosa ha scritto nell’ultimo verso del suo componimento ‘Lapide e ignominia': ‘Su queste strade se vorrai tornare, ai nostri posti ci ritroverai, morti e vivi collo stesso impegno, popolo serrato intorno al monumento, che si chiama, ora e sempre Resistenza.

Sono trascorsi 75 anni dall’entrata in vigore della Costituzione italiana e ci ritroviamo con importanti esponenti delle istituzioni che si richiamano ai valori e ai principi del 'Ventennio', come è stato possibile?

Ecco quanto ha dichiarato il presidente del Senato Ignazio La Russa: ‘Nel ricordo di mio padre, che fu tra i fondatori del Movimento Sociale Italiano in Sicilia e che scelse il Msi per tutta la vita, la via della partecipazione libera e democratica in difesa delle sue idee rispettose della Costituzione italiana’.

Il Msi è stato fondato nel 1946 dai reduci della Rsi e si è ispirato a quei principi e a quei valori. Non solo. Tanti sostenitori di quell'area politica hanno fatto parte delle organizzazioni neofasciste che negli anni Sessanta e Settanta hanno dato vita alla ‘Strategia della tensione’ e al tentativo di colpo di Stato di Junio Valerio Borghese.

Celebrare la nascita di un movimento che si rifaceva ai valori del fascismo è quantomeno inopportuno soprattutto per chi ricopre la seconda carica dello Stato.

Tutto questo non sorprende. Del resto nel simbolo del partito della presidente del Consiglio, FdI, c’è la fiamma tricolore che si richiama proprio al Msi

Per i 'nostalgici' questa è una rivincita, ma per tanti altri è ‘ora e sempre Resistenza’.

Fonte articolo21.org


giovedì 22 dicembre 2022

La Juventus rischia di nuovo la serie B?

La Juventus è una società abituata a vincere, che dispone di notevoli risorse economiche, ma come ha fatto a ritrovarsi in una situazione patrimoniale, giudiziaria e sportiva così precaria? Ecco alcune ipotesi

di Giovanni Pulvino

I bianconeri della stagione 2016-2017 festeggiano
festeggiano il loro 33º scudetto - (foto da it.wikipedia.org)

Lo scorso anno la Juventus, società di calcio quotata in Borsa, ha effettuato un ingente aumento di capitale per far fronte alle perdite di bilancio ed ai debiti accumulati negli ultimi anni. In tutto la richiesta al mercato è stata di 400 milioni di euro, il 63,8% dei quali sottoscritti dalla società ‘Exor’, ‘cassa’ della famiglia Agnelli.

Ora ai problemi patrimoniali si sono aggiunti quelli giudiziari. Le accuse oggetto dell’indagine della procura di Torino sono gravi: scambio fittizio di calciatori e plusvalenze 'farlocche'. È bene precisare che questo è un ‘modus operandi’ frequente nel mondo del calcio. Nel caso della Juventus esse si sommano con una gestione amministrativa farraginosa ed ai limiti della legalità.

Le dimissioni di tutto il Consiglio di amministrazione sono la diretta conseguenza di queste indagini. Ora la società rischia pesanti sanzioni penali, finanziarie e sportive. Non è escluso neanche un declassamento di categoria così come avvenne nel 2006 per le conseguenze di ‘Calciopoli’. Allora ai bianconeri fu revocato lo scudetto 2004/2005 e la non assegnazione di quello 2005/2006.

Alla luce di questi ultimi sviluppi si comprende anche l’insistenza dell’ex presidente Andrea Agnelli nel voler creare la Superlega, una competizione che avrebbe garantito ingenti risorse finanziare solo ai club più prestigiosi come la Juventus.

Una società abituata a vincere, che dispone di notevoli risorse economiche come ha fatto a ritrovarsi in una situazione patrimoniale e sportiva così precaria?

Si calcola che le perdite acquisite negli ultimi anni siano oltre 600 milioni di euro.

Nel 2018 l'acquisto di Cristiano Ronaldo fu accolto dai mercati finanziari con entusiasmo. In Borsa la quotazione del titolo quintuplicò in pochi giorni. Allora non si tenne conto dell’aumento dei costi e dello squilibrio finanziario che avrebbe provocato negli anni successivi.

Quell’operazione è stata un capolavoro dal punto di vista mediatico, ma anche una scommessa ‘persa’ da quello finanziario. Voler vincere la Champions League a tutti i costi, tra l’altro senza riuscirci, non è stato un buon affare per le casse della società. 

Per raggiugere quell’obiettivo il club torinese aveva acquistato nel 2016 il centravanti argentino Gonzalo Gerardo Higuain per 90 milioni di euro e nel 2019 il cartellino del giovane difensore olandese Matthijs de Ligt per 75 milioni di euro. Tutte transazioni finanziare eccezionali ed ingiustificate che rivelano le enormi disuguaglianze generate dal ‘giocattolo del pallone’, che altro non è che la sublimazione del sistema economico capitalista.

Gli acquisti di questi calciatori sono stati eticamente inaccettabili. Ora veniamo a sapere delle presunte plusvalenze per coprire i buchi di bilancio.

Un manager che combina tutti questi guai all’azienda che dirige sarebbe licenziato su due piedi, ma questo non è bastato alla proprietà della Juventus.

Il punto è che il sistema capitalistico non opera in base alla meritocrazia, ma si fonda sui privilegi acquisiti o ereditati. Del resto, cosa volete che siano 400 milioni di euro per chi ha un patrimonio miliardario?


domenica 18 dicembre 2022

Qatar: un mondiale multietnico

Anche nel calcio, come per le merci e le persone, sono state abbattute le barriere ed i confini nazionali, altro che respingimenti e blocchi navali

di Giovanni Pulvino

La formazione francese titolare ai mondiali del Qatar

Nel 1998 la Francia vinse il suo primo campionato del mondo. Gran parte del merito fu di Zinèdine Zidane, calciatore figlio di immigrati algerini. In quella squadra insieme a lui c’erano tanti calciatori di origine non francese come Desailly, Thuram, Djetou, Vieirà, Karembeu e così via.

Degli undici titolari della nazionale che ha vinto il torneo nel 2018 solo tre erano chiaramente di origini francesi: Lloris, Pavard e Giroud. Gli altri erano di etnia africana o comunque di colore, cioè immigrati di seconda o terza generazione: Varane, Umtiti, Pogba, Kantè, Matuidi, Mbappè. Oppure avevano cognomi non propriamente di etnia transalpina: Hernandez e Griezmann. L’unico che di certo era francese era il selezionatore, già vincitore del trofeo mondiale come calciatore nel 1998, Didier Deschamps.

La storia in Qatar non si è ripetuta, ma quella transalpina è rimasta una squadra multietnica. L’allenatore è sempre lo stesso. I calciatori di sicura origine francese sono solo tre: Rabiot A., Giroud O. e Lloris H.. Gli altri sono di colore o di etnia non transalpina. Koundè j., Varane R., Konatè I., Hernandez T., Tchouamèni A., Fofanà Y., Dembèlè O., Griezmann A., Mbappè K.

Una rivoluzione che è iniziata alla fine del secolo scorso e che ormai è una tendenza che coinvolge numerose nazionali e club sportivi e non solo nel calcio. Persino il Marocco, giunto per la prima volta in semifinale è composto da calciatori che non sono nati in Marocco e che, tranne qualcuno, non giocano nel loro Paese.

Anche nello sport, come per le merci e le persone, sono state abbattute le barriere ed i confini nazionali. È la sublimazione della globalizzazione.

La Francia e non solo è una multinazionale d'immigrati di seconda e terza generazione, che rappresenta un esempio d'integrazione e tolleranza etnica, altroché blocchi navali e respingimenti ipotizzati, ma finora non realizzati, dal governo di Giorgia Meloni.

Fonte wikipedia.org

mercoledì 7 dicembre 2022

Tornano i voucher 'schiavitù'

Il governo di Giorgia Meloni da un lato strizza l’occhio ad evasori e no vax, dall’altro penalizza poveri e disoccupati. Come inizio non c’è male

di Giovanni Pulvino

Foto da quifinanza.it

I buoni del lavoro o voucher sono nati nel 2003 con la cosiddetta ‘riforma Biagi’, dal nome del giuslavorista Marco Biagi che ne aveva delineato l’impianto e che anche per questo motivo è stato ucciso nel 2002 dalle Brigate Rosse.

Sono entrati in vigore nel 2008 con l’intento di far emergere il lavoro nero. Nel 2012 la legge Fornero ne ha esteso l’uso a tutti i settori produttivi. Il governo di Paolo Gentiloni con il varo del Decreto-legge n. 25 del 17 marzo 2017 ne vietò l’acquisto dal primo gennaio del 2018. In seguito, vennero sostituiti con due nuovi strumenti, il Libretto di famiglia ed il Contratto di prestazione occasionale.

Ora il governo di Giorgia Meloni vuole reintrodurli. Il valore dei 'nuovi buoni' sarà di 10 euro lordi, al lavoratore andranno 7,50 euro netti. Il datore di lavoro che intende utilizzarli li acquisterà presso l’Inps, ma potrà farlo anche alle poste, in banca e in alcuni casi anche in tabaccheria. Il limite massimo annuo sarà alzato a 10.000 euro.

Utili e funzionali per gli imprenditori, i voucher sono la sublimazione del lavoro precario. Sono strumenti che non garantiscono coperture in caso di malattia, di maternità o quelle previste dalle altre forme contrattuali. Il bisogno e la necessità economica spingono i soggetti più poveri ad accettare questo tipo di rapporto di lavoro che qualche opinionista ha definito come una nuova forma di ‘schiavismo’.

Siamo il Paese con le retribuzioni più basse, dove anche chi lavora è a rischio di cadere in povertà ed il nuovo Governo anziché impegnarsi ad invertire questa tendenza che cosa fa? Reintroduce uno strumento che accentuerà ancora di più i divari economici e sociali.

La linea politica dell'esecutivo di Giorgia Meloni è chiara. Da un lato strizza l'occhio ad evasori e no vax, dall’altro penalizza poveri e disoccupati.

Come inizio non c’è male.

E cosa proporranno quando si tratterà di Giustizia, Istruzione e Sanità?

E come affronteranno il tema dell’autonomia differenziata richiesta dalle regioni più ricche e, soprattutto, come tenteranno di cambiare la Costituzione italiana, antifascista e parlamentare? 

Oggi non hanno i numeri e la forza politica per poterla stravolgere, ma domani nulla potrà essere escluso.

Questo è un governo di Destra, non dimentichiamolo mai.

lunedì 28 novembre 2022

Quota 103 e le ingiustizie del sistema pensionistico

62 anni d’età e 41 di contributi, questi sono i parametri previsti dalla legge di Bilancio per andare in pensione e per aggirare per la terza volta la legge Fornero

di Giovanni Pulvino

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni
(foto da it.wikipedia.org)
Quota 100, Quota 102 ed ora Quota 103 sono misure che servono a ripristinare le cosiddette pensioni di anzianità abolite con la legge Fornero.

È prevista anche la proroga per Ape Sociale, quella che prevede per le categorie professionali gravose un’età minima di 63 anni ed un contributivo minimo ridotto per il 2022 a 32 anni. Rinnovata altresì Opzione Donna che prevede 35 anni di contributi e 58 anni d’età per donne con due o più figli, 59 anni con un figlio e 60 negli altri casi.

L’obiettivo principale del provvedimento è quello di superare Quota 102 che rimarrà in vigore fino al 31 dicembre.

Il sistema pensionistico italiano è una babele di normeE' un sistema iniquo e diseguale.

Un quinto dei pensionati percepisce un’indennità che equivale ad oltre il 42% della spesa complessiva, mentre al 20% dei redditi pensionistici più bassi va poco più del 5%. Oltre un terzo dei pensionati riceve meno di 1.000 euro lordi al mese.

‘A livello territoriale più del 50% della spesa complessiva è erogata ai residenti nel Nord del Paese, il 27,8% nel Mezzogiorno e il 21,1% nel Centro. Questo significa che a maggiori opportunità occupazionali corrispondono ‘indennità pensionistiche altrettanto adeguate’, mentre sono penalizzati precari e disoccupati.

C’è chi è andato in pensione con meno di 40 anni di età e chi invece ci andrà a settant’anni e chi non ci andrà mai. Non solo. Con il sistema contributivo ‘le disuguaglianze e le ingiustizie cresceranno anche nell’importo dell’indennità, in particolare tra chi ha avuto un lavoro stabile e ben retribuito e chi invece ha svolto lavori saltuari e spesso mal pagati’.

Disoccupati e poveri non solo hanno dovuto vivere nella precarietà, ma percepiranno una pensione che li manterrà in una situazione di disagio sociale.

Tutto questo in contraddizione con il principio della ‘capacità contributiva’ sancito dall’articolo 53 della Costituzione italiana. 

Altro che 'pari dignità sociale'. Si continuano a proporre leggi che seppur necessarie per tutelare i lavoratori, contribuiscono a rendere il sistema pensionistico sempre più ingiusto.

Fonte REDNEWS