sabato 27 febbraio 2021

Continua l’odissea degli operai ex Fiat di Termini Imerese

A giugno agli operai dell'ex stabilimento Fiat scadrà la cassa integrazione ed i sindacati sono preoccupati sul silenzio delle istituzione sulla questione Blutec di Termini Imerese

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Operai ex Fiat davanti ai cancelli dello
stabilimento Blutec di Termini Imerese (Pa)

Circa trecento operai si sono riuniti in assemblea davanti ai cancelli della fabbrica Blutec di Termini Imerese. ‘Rimarremo qui fino a quando il ministero dello Sviluppo non ci convocherà’, ha detto Roberto Mastrosimone della Fiom.

Intanto è iniziato il processo per il presunto utilizzo indebito di fondi statali ottenuti per la trasformazione dello stabilimento ex Fiat. La Regione Sicilia, la Fiom nazionale e regionale, Blutec, Metec e Invitalia hanno presentato richiesta per costituirsi parte civile. L’accusa è la distrazione di 16 milioni di euro di finanziamenti pubblici ottenuti per il rilancio della fabbrica.

Per i lavoratori è un’odissea che dura da oltre dieci anni.

La vicenda ha avuto inizio nel 2010 quando il nuovo amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, annunciò la chiusura della fabbrica. La dismissione si concretizzerà il 31 dicembre del 2011. Circa 800 operai ed oltre 1.000 addetti dell’indotto rimasero senza lavoro. Il tentativo di accordo per il salvataggio dello stabilimento con il gruppo Dr Motor Company attiva nella costruzione di auto elettriche fallì e dal 2015 la fabbrica è passata alla NewCo Blutec. La società si impegnò a riassumere 50 operai entro il mese di aprile del 2016 ed altri 200 entro la fine di quell’anno. Ma ad oggi il processo di rinascita della fabbrica e del polo industriale di Termine Imerese non si è realizzato.

Gli operai dell’ex stabilimento Fiat non vogliono assistenza, ma lavoro. La rinascita del polo industriale di Termini Imerese è fondamentale per lo sviluppo di tutta l’area. Non è un problema di infrastrutture. A Termini c’è il porto, l’autostrada e la ferrovia. È solo una questione di volontà politica.

Finora nulla di concreto è stato realizzato o prospettato. Al Sud lo Stato non investe, le aziende private delocalizzano, le infrastrutture sono fatiscenti e le opportunità di iniziare un'attività economica sono pochissime.

In questa situazione di degrado e di sottosviluppo ai meridionali non resta che emigrare o continuare a vivere di assistenza.

Fonte: REDNEWS

 

mercoledì 24 febbraio 2021

La vittoria di Pirro di Matteo Renzi

Matteo Renzi non potrà più condizionare l’operato del Governo e se dovesse pronunciare ‘Draghi stai sereno’, siamo sicuri che stavolta non produrrebbe nessun effetto

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Matteo Renzi e Mario Draghi

535 sì, 56 voti contrari di cui 16 del M5s e 5 astenuti, questi i numeri con i quali la Camera dei deputati ha dato la fiducia al nuovo governo di Mario Draghi. Al Senato i voti favorevoli sono stati 262, 34 i no di cui 15 del M5s e 8 assenti. Un consenso parlamentare ‘bulgaro’ si sarebbe detto negli anni Settanta. Gli unici che hanno deciso di ‘rimanere’ all’opposizione sono stati gli esponenti di Fratelli d’Italia, i dissidenti del M5s e Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana.

È una ‘Maggioranza Ursula’, ampia, cioè, come quella che ha ottenuto la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. Fare la sintesi sarà complicato. Mediare su tutto sarà impossibile, ad un certo punto il nuovo presidente del Consiglio dovrà decidere quali interessi tutelare.

Il suo compito principale sarà quello di pianificare l’utilizzo dei finanziamenti del Recovery Plan. Incidere sulle modalità del loro utilizzo è, probabilmente, il vero motivo del sostengo di gran parte della Destra al nuovo Governo e della caduta di quello precedente, il Conte 2. Un'altra ragione è che si è voluto impedire lo scioglimento anticipato della legislatura. La riforma costituzionale approvata pochi mesi fa ha ridotto il numero di deputati e di senatori, pertanto molti di essi non sarebbero stati rieletti.

Mario Draghi ha il vantaggio di essere un tecnico. Le sue decisioni non saranno condizionate da esigenze elettorali. È un uomo delle istituzioni. Da presidente della Bce è stato capace di mettere d'accordo chi propugnava politiche monetarie restrittive e chi, invece, era favorevole a quelle espansive. È stato colui che ha avallato le politiche di rigore attuate nel 2011 e nello stesso tempo ha dato avvio al Quantitative Easing, cioè alle politiche monetarie espansive dell’Unione Europea. Oggi è apprezzato da quasi tutte le cancellerie internazionali.

Riservato e riflessivo, saprà mettere d’accordo Brunetta e la Gelmini con Speranza e Orlando? E Zingaretti, Di Maio e Salvini? Vedremo. Unica certezza è che l’altro Matteo, quello di Italia Viva, non potrà più condizionare l’operato del Governo. L’ex sindaco di Firenze resterà ai margini e se dovesse pronunciare ‘Draghi stai sereno’, siamo sicuri che stavolta non produrrebbe nessun effetto.

martedì 16 febbraio 2021

Ma i vaccini sono efficaci sulle varianti del Covid-19?

Cresce la preoccupazione degli esperti sulla diffusione delle varianti del Covid-19. ‘Serve un lockdown totale ed immediato’ auspica Walter Ricciardi consigliere del ministro della Salute

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Gam-COVID-Vac, nome commerciale
Sputnik-V - 
(foto da it.wikipedia.org)

È una lotta contro il tempo. La rapidità delle campagne vaccinali è dirimente. Di certo riusciremo a battere il Covid-19 anche se non sappiamo quando. Gli esperti e gli enti statali ed europei preposti ad autorizzare le somministrazioni assicurano sull’efficacia dei vaccini, ma quelli approvati lo sono anche per le varianti del virus? Molti virologi ritengono di sì, ma solo il tempo potrà confermare questa ipotesi.

Intanto occorre accelerare la campagna di vaccinazione. Affinché questa avvenga con rapidità occorrono un numero sufficiente di medici ed infermieri e, ovviamente, di vaccini. Il primo problema da risolvere è l’incremento della capacità produttiva delle aziende farmaceutiche che sono titolari dei brevetti. Pfizer, Moderna e Astrazeneca possono garantire quantità limitate. Per aumentare la produzione è necessario sospendere i diritti che derivano dalla privativa. Occorre, cioè, un trasferimento tecnologico ad altre aziende farmaceutiche. Ma le multinazionali saranno disposte a rinunciare ad una parte dei profitti?

Poi ci sono le varianti del virus. Per evitare che si propaghino le soluzione sono due. Un altro 'lockdown' come auspicato dal consigliere del ministero della Salute Walter Ricciardi oppure una campagna vaccinale rapida.

La guerra contro il Covid-19 non è vinta. Le misure adottate nell’ultimo mese non sono state sufficienti a far scendere la curva dell’epidemia. Il numero dei contagi si mantiene stabile e la variante inglese preoccupa molto. Siamo in un momento delicato. Non è necessario essere degli esperti per capire che il virus tenterà di adattarsi alla nuova situazione. È una battaglia contro il tempo. L’uomo di certo la vincerà, ma quando questo avverrà dipende molto dai nostri comportamenti e dalla capacità degli Stati di imporre l’interesse generale a quello privato delle aziende farmaceutiche.

Tutto nella speranza che i timori degli esperti sull’arrivo di una terza ondata siano infondati.

mercoledì 10 febbraio 2021

Quando il calcio è poesia

Il gesto di lealtà sportiva compiuto da Andrea Belotti durante la partita Atalanta -Torino è poesia

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Andrea Belotti - (foto dal profilo facebook)

E' il 33° minuto del primo tempo della partita Atalanta -Torino. I bergamaschi sono avanti di tre gol. L’arbitro Fourneau fischia un fallo a Cristiano Romero e lo sanziona con il cartellino giallo. Andrea Belotti, incurante dell’opportunità di calciare una punizione dal limite dell’aria, fa segno all’arbitro che il fallo non c’era e che avrebbe dovuto togliere l’ammonizione al difensore neroazzurro.

Il giudice di gara inizialmente resta fermo nella sua decisione. Poi, di fronte alle insistenze del giocatore del Torino, concorda una punizione con la restituzione della palla agli avversari. Belotti non ci pensa due volte e riconsegna il pallone agli atalantini.

Sarà stato un caso, ma da quel momento l’inerzia della partita è cambiata. Il Torino ‘perdente’ torna ad essere il ‘Toro’. Nella ripresa segna tre gol e conquista un punto prezioso per la salvezza. Non possiamo affermare che il comportamento tenuto da Belotti sia stato dirimente, ma di certo fa onore al centravanti della nazionale.

Una condotta che dovrebbe essere la normalità, ma così non è. Spesso i giocatori di calcio, ma in genere gli sportivi, mettono il risultato prima di tutto. Per la maggior parte degli atleti ‘il fine giustifica i mezzi’. È la logica del successo a tutti i costi. Pur di  vincere molti sono disposti a compiere atti di slealtà e scorrettezza. Quante volte abbiamo assistito a scene di simulazione tese a confondere l’operato del giudice di gara ed a contestarlo anche quando aveva ragione.

Comportamenti che si dovrebbero rifiutare, ma purtroppo non è così. Nello sport come nella vita dobbiamo decidere ogni giorno da che parte stare, se agire, cioè, con serietà e nell’interesse comune oppure pensare solo a noi stessi ed essere disposti ad utilizzare qualunque mezzo pur di raggiungere i nostri obiettivi.

Siamo condizionati dal potere e/o dal profitto a tutti costi. Come se la nostra vita dovesse durare per sempre, ma così non è.

I comportamenti sono più importanti del fine, spesso effimero, che vogliamo raggiungere. Ed è per questo che il gesto di lealtà sportiva compiuto da Andrea Belotti è poesia, è il gol più bello che l’attaccante granata potrà mai realizzare ed è quello che resterà nella mente e nei cuori di chi ama il calcio e di chi vive nel rispetto di sé stesso e degli altri.

sabato 6 febbraio 2021

I vaccini? Prima ai paesi ricchi, poi agli altri

Nel 2021 i tre colossi farmaceutici, Pfizer/BioNTech, Moderna e AstraZeneca produrranno vaccini contro il Covid-19 solo per l’1,5% della popolazione mondiale. A sostenerlo sono Oxfam, Emergency, Frontline AIDS e Global Justice Now, membri della People’s Vaccine Alliance

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto oxfamitalia.org

‘Il sistema che garantisce i monopoli sta provocando una crisi globale di forniture con conseguenze drammatiche in termini di vite umane e impatto economico’, sostiene Oxfam Italia. I brevetti ‘esclusivi’ impediscono che ci siano dosi sufficienti per tutti. È necessario sospendere le ‘regole che tutelano la proprietà intellettuale e la condivisione della tecnologia’. Solo in questo modo sarà possibile un incremento della produzione ed un accesso rapido ai vaccini per tutti i popoli del mondo.

Pfizer/BioNTech, Moderna e AstraZeneca possono coprire ‘il fabbisogno di un terzo della popolazione mondiale’. Inoltre, la maggior parte dei vaccini sono stati acquistati dai paesi ricchi. Solo AstraZeneca ha destinato parte della sua produzione ai paesi in via di sviluppo.

Eppure, basterebbe poco.

In tutto il mondo stiamo assistendo ad una corsa contro il tempo per raggiungere l’immunità di gregge e tenere sotto controllo il Covid-19, salvare milioni di vite e far ripartire le nostre economie. È una gara contro il tempo che dobbiamo vincere prima che nuove mutazioni del virus rendano obsoleti i vaccini esistenti. – ha detto Sara Albiani, policy advisor per la salute globale di Oxfam ItaliaEppure la logica del profitto e i monopoli imposti dai colossi farmaceutici rallentano pericolosamente la corsa globale verso l’immunizzazione Se aziende come Moderna e Pfizer/BioNTech continueranno a non condividere brevetti e tecnologia, non saremo in grado di vincere questo terribile virus’.

Il diritto alla salute di tutta l’umanità deve venire prima dei profitti degli azionisti. Un’azienda privata non dovrebbe avere il potere di decidere chi ha accesso a cure o vaccini e a quale prezzo. Soprattutto, in questo caso, quando si stima che i contribuenti abbiano finanziato la ricerca e produzione dei vaccini con più di cento miliardi di dollari. Investimenti di questa portata li rendono dei veri e propri beni pubblici – aggiunge Rossella Miccio, Presidente di EMERGENCYI governi hanno gli strumenti per indurre le aziende a condividere i brevetti, e li devono usare. Se vogliamo superare questa crisi senza precedenti, tutti devono fare la propria parte e agire per il bene comune: cittadini, istituzioni pubbliche e aziende’.

Nel mondo ideale, vaccini per tutti. Nel modo reale si salvi chi può. La pandemia è anche un conflitto tra nazioni, c’è chi ne uscirà più forte e chi invece resterà indietro. E di certo sta accentuando le disuguaglianze e le ingiustizie, ma anche questa non è una novità.

Fonte oxfamitalia.org

mercoledì 3 febbraio 2021

Torremuzzari, ‘nzusari, ….

I pensieri corrono dove vogliono, come sempre. Solo la stanchezza può fermali, ma è solo un attimo, poi ripartono sempre senza volere

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni

La Torre (foto di Ciccia Antonino)

Durante l’estate era nostra abitudine andare alla Torre per fumare di nascosto una sigaretta o semplicemente per ammirare il panorama. Da lì potevamo distinguere le sagome delle isole Eolie, a sinistra la Rocca di Cefalù e dal lato opposto le case di Porta Palermo a Santo Stefano di Camastra. Oltre la curva c’era la campagna. Un chilometro più in là c’era ‘Maccarruni’. Per arrivarci dovevamo percorrere un sentiero in terra battuta. Ci andavamo per giocare o per 'allenarci'. Passeggiando o correndo per quella strada avevi la sensazione di essere immerso nel verde, tra alberi di ulivo, di limoni ed aranci. C'erano diverse coltivazioni accudite con cura. I solchi dell’acqua erano ben in vista e ben allineati per assicurare l’irrigazione continua delle piante. Raramente vedevamo i proprietari e, per rispetto, mai avevamo la tentazione di cogliere un frutto. Eri in mezzo alla natura, si direbbe oggi. Respiravamo aria pura ed incontaminata. Un intenso profumo di zagara e di agrumi ti avvolgeva, anche se, essendo un posto isolato, avevi la sensazione di essere in un mondo nuovo, misterioso. In alcuni punti si vedeva il mare, che era cinquanta metri più in basso, ma anche se non si scorgeva sapevi che c’era. Questo bastava a consolarti.

Che belli questi pensieri, ti deviano per portarti altrove, ma ora è tempo di tornare al principio.

In due o tre stavamo seduti sul muretto in pietra ad ammirare il panorama. Subito sotto, quasi in verticale, vedevamo la strada statale, che curva in quel punto, in basso lo scoglio. Sembrava di starci sopra. Da lì potevamo distinguerne la forma, anzi nelle giornate di mare calmo si vedeva anche il fondale sabbioso o, com’era più spesso, pieno di pietre. Qualcuno o qualcuna aveva la cattiva abitudine di andare alla Torre in modo ‘furtivo’, cioè si nascondeva alla vista di chi stava sulla riva o in acqua. Lo scopo era quello di spiare chi andava a fare il bagno proprio lì sotto o nel tratto di mare subito oltre lo scoglio.

Cielo azzurro, mare piatto e là in fondo l'orizzonte che fa un tutt'uno con il cielo, nient'altro, ma questo bastava, e basta ancora oggi per non pensare, per dimenticarsi.

Una volta da quel punto uno di noi per gioco e per superficialità, quella tipica dei ragazzini, lanciò un sassolino per colpire un’auto che stava passando. Purtroppo per noi, il conducente si fermò. Sapevamo chi era. Non ci mise molto a capire da dove era arrivata la pietra e, conoscendo la strada, corse a velocità verso di noi. Scappammo via, ma richiamammo il nostro compagno: ‘sono cose che non si fanno’, gridammo. Quando si è giovani si è leggeri e ingenui. Quel giorno avremmo potuto fare un danno enorme al conducente, per fortuna fu solo paura e rabbia per Lui e per Noi che eravamo altrettanto sorpresi per quel gesto stupido e pericoloso.

Non solo i colori del cielo e del mare, ma anche leggerezza ed uno scorrere lento ed inconsapevole del tempo e della vita che in esso si manifesta e si dilegua. 

La Torre è un punto di osservazione perfetto, da lì si può vedere tutto il Borgo o quasi. La frazione è piccola, ma divisa in due dalla strada statale che un tempo non era asfaltata. Quelli che dimoravano nella parte bassa erano i 'torremuzzari', quelli che invece avevano l’abitazione nella parte alta erano i ‘nzusari’. Quando sei bambino anche piccole distanze ti sembrano enormi se non conosci i luoghi. Si sa, la consapevolezza abbatte i muri, sempre. Per noi era un altro paese, in realtà erano solo pochi metri, quelli necessari per attraversare la strada. Poi cresci e ti rendi conto che i ‘muntagnoli’ erano semplicemente coloro che raramente venivano al mare e che per questo avevano avuto qualche difficoltà ad imparare a nuotare, qualcuno di loro non ha mai imparato.

I ricordi seppur scoloriti non vanno via, restano lì in attesa di essere rivissuti ancora una volta, l'ultima.

Pochi passi ci separavano, ma le differenze sembravano tante. Noi 'torremuzzari' ci sentivamo privilegiati rispetto ai nostri coetanei ‘nzusari’. Due piazzette, un cortile, ‘a vanedra, i ponti della ferrovia, lo stabilimento, la spiaggia, il mare, e, ogni tanto, le escursioni in campagna, nient’altro. Era il nostro piccolo mondo. Non c'erano pericoli, le macchine erano poche ed eravamo liberi di muoverci, di giocare, di bisticciare, di fantasticare.  Quando si è piccoli si è innocenti e basta poco per essere felici. Ma il tempo non si può fermare, soprattutto quello delle piccole gioie. 

È un attimo, solo un attimo. Poi il nulla, ecco cosa resterà, il nulla. Vorresti tornare indietro, ma non puoi, sei inchiodato al presente. Ed anche quando vorresti afferrare la realtà non puoi, è già oltre, è già passato. Rimane solo il ricordo, ma solo di chi c’era e c’è ancora. E tra poco neanche quello. Siamo memoria effimera. Solo un mucchio di pensieri a termine. Nient’altro.

lunedì 25 gennaio 2021

La vera storia di Eva Schloss, ‘sorella’ di Anna Frank (dall’arrivo ad Auschwitz-Birkenau alla liberazione)


'Quando scendemmo dal treno quel giorno ad Auschwitz – terrorizzati, stupiti e confusi – 
ci ritrovammo direttamente nella sala macchine dell’Olocausto', Eva Schloss 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

La copertina del libro
'Sopravvissuta ad Auschwitz'

Questa è la seconda parte della storia di Eva Schloss (la prima è nel post precedente), raccontata con le parole del libro che lei stessa ha scritto ad oltre quarant’anni di distanza dalla sua liberazione, avvenuta il 27 gennaio 1945 nel ’campo di sterminio’ di Auschwitz. Il suo destino è legato a quello di Anna Frank. Compagne di giochi ad Amsterdam, entrambe hanno vissuto la clandestinità e successivamente la deportazione nei ‘campi di sterminio’ ma soltanto Eva è sopravvissuta. Nel dopoguerra sua mamma Fritzi (il padre ed il fratello Heinz morirono ad Auschwitz) sposerà Otto Frank (unico superstite della sua famiglia), divenendo in tal modo 'sorellastra postuma' di Anne.

L’arrivo ad Auschwitz-Birkenau(22 maggio 1944):  'Il treno ci condusse lentamente attraverso l’Europa per tre giorni e tre notti. Eravamo stipati al buio come animali portati al macello, con un piccolo secchio fetido per i bisogni e un altro per l’acqua (…). A volte facevamo delle lunghe soste (…) in qualche punto di quello che avrebbe dovuto essere il continente più civile al mondo (…). Quando scendemmo dal treno quel giorno ad Auschwitz – terrorizzati, stupiti e confusi – ci ritrovammo direttamente nella sala macchine dell’Olocausto (…). Le scene sul binario erano strazianti e rimasi sconvolta dal chiasso delle persone che gemevano, piangevano e urlavano addii disperati. C’erano centinaia di persone: anziani, madri con neonati in braccio e bambini piccoli, tutti in uno stato di totale agitazione e di una sorta di primitiva disperazione; imperturbabili, le ss cominciarono a smistarci come fossimo abiti su una rastrelliera, finché non fummo divisi in uomini e donne, e poi in file di cinque (…). Salimmo lentamente la rampa finché non vedemmo in cima le ss che indirizzavano le persone in due colonne, una a destra e una a sinistra. Una donna davanti a noi cominciò a urlare quando capì che sarebbe stata costretta a consegnare il bambino all’altra colonna (…). Allora non sapevo che avevamo appena superato la nostra prima selezione da parte del celebre dottore del campo, Josef Mengele, o che il cappotto e il cappello mi avevano salvato la vita (…). Tutti i ragazzini sotto i quindici anni venivano automaticamente  mandati a destra – la fila che conduceva direttamente alla camera a gas – e su 168 bambini del nostro trasporto io fui una dei sette sopravvissuti (…). Nell’aria c’era un odore acre che non avevo mai sentito.'

'Ero la prigioniera A/5272, inserita in un processo volto a privarmi dell’orgoglio e dell’identità. Allontanandomi dalla stazione di Auschwitz, mi ero lasciata alle spalle la piccola Eva Geiringer e i suoi sogni. Avevo trascorso gli ultimi momenti insieme alla mia famiglia al completo e non avrei più rivisto mio fratello.'

Vita nel campo: 'Auschwitz era un mondo di sporcizia, fame, depravazione, e pochi gesti di solidarietà (…). Mi resi ben presto conto che la civiltà è una patina molto sottile che viene via facilmente e compresi le vere necessità della vita, come avere una ciotola per bere e mangiare in modo da poter sempre ricevere la propria razione (…). Non tutti riuscivano ad adattarsi. Coloro che non si adeguavano alla vita del campo, avevano uno sguardo vuoto, perdevano la speranza e morivano. Nel gergo del campo venivano chiamati ‘Muselmann’ perché la posizione curva ed inerte li faceva somigliare a musulmani chini per la preghiera. Sono sopravvissuta in gran parte per pura fortuna, tuttavia giurai di non unirmi mai alle schiere dei ‘Muselmann’.'

'Percepii che uno dei soldati mi osservava attentamente e poi lo udii dire:’Questa qui può andare al Canada’ (…). Lo scopo del Canada era depredare gli ebrei fino all’ultimo bene, per mandare poi tutto in Germania, dove sarebbe stato distribuito ai soldati, alle loro famiglie e alla gente comune. Gli uomini tedeschi si rasavano con rasoi ebrei, mentre bravi madri tedesche spingevano carrozzine ebree e i nonni indossavano occhiali ebrei per leggere sul giornale gli articoli sullo sforzo bellico (…). Si trattava di una rapina e un saccheggio su scala davvero enorme (…). Nei forni crematori, una squadra estraeva i denti d’oro alle vittime. I denti venivano poi immersi in un acido per rimuovere nervi e tessuti, fusi in lingotti d’oro e spediti in Germania (…). A volte i tesori non erano altro che foto piegate o rifilate con cura, la minuscola immagine di un bambino sorridente, o una vecchia foto di genitori inserite nella cucitura della giacca. Rimasi a fissare la foto di una madre e di un padre con in braccio un bambino e mi resi conto con orrore che quella era stata l’unica cosa importante per la persona che l’aveva nascosta, e che nessuno di loro si sarebbe mai rivisto. Erano tutti morti.'

L’inverno più triste: 'Solo una cosa mi faceva andare avanti e rendeva più sopportabili quelle notti: avere Mutti (la mamma di Eva) al mio fianco e dormire tra le sue braccia. Immaginate anche la fame. Le nostre razioni ufficiali di cibo consistevano di una minestra tiepida a colazione, o di alcune sorsate di un granuloso succedaneo del caffè, seguite da un pasto serale a base di una fetta di pane nero (…). lo scopo era farci morire lentamente di fame (…). Immaginate la sporcizia. Una volta, una Kapò ci punì per qualche infrazione gettandoci addosso il secchio dei bisogni ed ebbi per giorni i vestiti e la pelle ricoperti di escrementi prima di avere finalmente il permesso di lavarmi (…). Senza Mutti, pensando che anche Pappy (il papà di Eva) era probabilmente morto e non avendo idea se Heinz (il fratello di Eva) fosse vivo o meno, mi sentii precipitare in un buco nero (…). Che importanza aveva la vita? Che importava se una persona era buona o cattiva? Che conforto si poteva trovare in ‘Dio’?'

La liberazione: 'A ottobre avevano ordinato la fine della soppressione degli ebrei e a novembre aveva deciso di far saltare in aria le camere a gas e i forni crematori di Auschwitz, con l’intenzione di eliminare ogni traccia di ciò che vi era accaduto (…). Potevano avere la tentazione di ammazzarci tutti piuttosto che lasciare qualcuno a raccontare i fatti (…). Dormimmo tutta la notte e mi svegliai al mattino del 19 gennaio 1945 con una stranissima sensazione di calma assoluta. Aprii gli occhi e mi guardai intorno: la baracca pareva quasi vuota e non c’era nessuna delle solite attività mattutine. Scesi dal letto e uscii in esplorazione. Non si vedeva nessuno (…). Era rimasto solo un piccolo gruppo di prigionieri dalla salute precaria, come noi. Eravamo pelle e ossa, ma cominciammo immediatamente a organizzarci per sopravvivere fino all’arrivo dei sovietici. Era un grandissimo senso di liberazione sapere che se n’erano andati i tedeschi – quanto avevo desiderato quel giorno – ma sapevamo che ci aspettavano ancora enormi difficoltà' (…).

'La cosa peggiore che abbia mai fatto in vita mia fu portare fuori i corpi rigidi di donne che avevo imparato a conoscere. Reggendole, sentivo che si erano ridotte al lumicino, guardavo i loro occhi sbarrati e le bocche spalancate e sapevo che avevano resistito tanto a lungo e piene di speranza fin quasi alla fine. Vidi più persone morire in quei pochi giorni che in tutta la mia permanenza a Birkenau' (…).

L’arrivo dei soldati sovietici: 'Ci dirigemmo nervose all’ingresso per osservare quella insolita scena. E in effetti c’era un ‘orso’. Un uomo grosso ricoperto da una pelle d’orso che ci fissava con la medesima espressione sbigottita. Forse avrei dovuto essere più cauta, ma in quel momento provai solo una gioia irrefrenabile. Gli corsi incontro e lo abbracciai. Era il 27 gennaio 1945 e le forze sovietiche erano venute a liberarci (…). Furono giorni incerti e disperati, e il fatto che fossimo così prossime alla libertà rendeva la morte ancora più crudele. E’ duro accettare che molte donne fossero decedute non per mano dei nazisti, ma per aver mangiato il buon cibo caldo fornito dai nostri liberatori. Dopo aver fatto la fame tanto a lungo, i loro corpi non erano riusciti a sopportare il repentino cambio di dieta (…). Passai sotto l’insegna in metallo, forgiata da un prigioniero su istruzione dei nazisti, che recitava menzognera ‘Arbeit macht frei’ (il lavoro rende liberi). Ricordo di aver pensato che era una ben piccola e misera riproduzione dell’ideologia più malvagia che il mondo abbai mai conosciuto.'

'Più di un milione di ebrei venne assassinato ad Auschtwitz-Birkenau e, al momento della liberazione, eravamo in vita solo in seimila (…). Io e Mutti avevamo resistito per pura fortuna, grazie alla forza di volontà e alla protezione di Minni (una conoscente anch’essa deportata). Eravamo sopravvissute alla più perversa ideologia di pulizia etnica della storia. I nazisti ci avevano braccati per tutta Europa, guidati da una folle ossessione e dalla determinazione a non fermarsi fino all’eliminazione dell’ultimo ebreo. Ero viva, ma avrei dovuto imparare di nuovo a vivere e trovare il mio posto in un mondo che spesso non voleva conoscere gli orrori a cui avevo assistito.'

Fonte: 'Sopravvissuta ad Auschwitz' di Eva SchlossKaren Bartlett. Newton Compton Editori

sabato 23 gennaio 2021

La vera storia di Eva Schloss, ‘sorella’ di Anna Frank (dalla fuga da Vienna alla deportazione)

'Quando i miei nipoti mi hanno chiesto del tatuaggio sul braccio con cui ero stata marchiata ad Auschwitz, avevo risposto che era solo il mio numero di telefono. Non parlavo del passato', Eva Schloss

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Eva Schloss e Anna Frank (foto da amazon.it)

Questa è la storia di Eva Schloss raccontata con le parole del libro che lei stessa ha scritto ad oltre quarant’anni di distanza dalla sua liberazione avvenuta il 27 gennaio 1945 nel ’campo di sterminio’ di Auschwitz. La sua vicenda umana è legata a quella di Anna Frank. E’ stata sua compagna di giochi ad Amsterdam e nel dopoguerra sua madre Fritzi, anch’essa sopravvissuta allo sterminio (il papà ed il fratello morirono ad Auschwitz), sposerà Otto Frank, a sua volta unico superstite della sua famiglia.

Il nove marzo 1938 a Vienna, città natale di Eva Schloss, arrivano i nazisti accolti con entusiasmo dalla popolazione: 'Gli ebrei austriaci cominciarono a correre da un’ambasciata all’altra alla disperata ricerca di un visto che consentisse loro di scappare. Purtroppo, però, molti Paesi non li concedevano.'

La fuga a Bruxelles (1938): 'Eravamo degli apolidi e la nostra presenza non era gradita in nessun posto.' 

Le molestie di Dubois (coinquilino di Eva, di sua madre e del fratello Heinz nella pensione di madame Le Blanc): 'Cercavo di evitarlo a tutti i costi, ma alcuni giorni dopo, ero sola e lui mi bloccò nel corridoio (…). Mi fece entrare in camera sua, dicendomi che voleva mostrarmi delle fotografie del Congo (…). Riluttante, gli rimasi accanto mentre sedeva alla scrivania e sfogliava album color seppia (…). Con il passare delle settimane, cominciò a prendermi sulle ginocchia mentre sfogliava le pagine dell’album (…). Ben presto Dubois pretese che (…). Ero talmente inorridita e imbarazzata che corsi fuori dalla stanza e incappai dritta in mia madre. Vedendomi tanto sconvolta, mi costrinse a parlare finché non crollai e le dissi tutta la verità (…) erano tutti scioccati (…). Ma non potevano farci niente. Eravamo in un Paese straniero, in attesa dei visti grazie a cui avremmo potuto tornare ad essere una famiglia. Mutti (la madre di Eva) mi disse di non rivolgere mai più la parola a Dubois e fece di tutto per proteggermi (…). Solo poco tempo prima ero stata una bimba vivace e felice (…) ora vedevo che (…) i miei genitori non potevano proteggermi dalle cattiverie del mondo. Non avevano potuto salvarci dai nazisti ed eravamo dovuti scappare da casa nostra. E ora non riuscivano nemmeno a proteggermi da un uomo che mi aveva fatto così tanto male.'

L’arrivo di Eva ad Amsterdam (febbraio 1940) dove fa amicizia con Anna Frank: 'Parlava talmente tanto che la chiamavamo la Signora Qua Qua e nei miei ricordi era sempre circondata da un gruppo di ragazzine pronte a ridacchiare per le sue ultime esperienze e osservazioni. Mentre io giocavo a campana, Anne leggeva riviste di cinema e andava con le amiche nei caffè a mangiare gelati e a discorrere come le signore di mondo che avrebbero voluto diventare (…). Alla fine del suo diario, poco prima di essere catturata, Anne Frank ha scritto di credere ancora che la gente fosse fondamentalmente buona; chissà cosa avrebbe pensato se fosse sopravvissuta ai campi di concentramento di Auschwitz e Bergen-Belsen. La mia esperienza ha dimostrato che le persone possono essere di eccezionale crudeltà, brutalità e totale indifferenza verso la sofferenza umana. E’ facile dire che il bene e il male esistono in ognuno di noi, ma ho potuto toccare con mano questa poco edificante realtà ed è una vita che mi interrogo sull’animo umano.'

I nazisti occupano l’Olanda: 'I nostri peggiori timori si erano avverati: il 15 maggio 1940 vivevamo sotto l’occupazione nazista e non sapevamo dove andare (…). Corremmo affannati da un posto all’altro per ore, sempre più stanchi, esausti e sconvolti, mentre Pappy (il papà di Eva) tentava di prenotare un posto su una qualsiasi nave in partenza. Fu impossibile. L’ultima era partita, e non avremmo mai potuto salirci.'

La soluzione finale: 'Alla conferenza di Wannsee, il 20 gennaio 1942, il tenente generale delle ss, Reinhard Heydrich, capo dell’ufficio centrale per la sicurezza del Reich, presento la soluzione finale della questione ebraica: tutti gli ebrei d’Europa dovevano essere trasportati in campi a est e lì fatti lavorare fino allo stremo o assassinati.'

La clandestinità: 'C’è l’ho fatta perché dovevo farcela. La scelta era netta: nascondersi o morire. E ce l’ho fatta perché quando stai nascosto ti dici che non sarà per sempre (…) aspetti un altro giorno perché pensi che quello seguente sicuramente arriverà la libertà (…). C’era gente che aiutava le famiglie di ebrei a nascondersi solo per buon cuore (…) ma c’era chi lo faceva esclusivamente per denaro (…). A volte, i bambini mandati in fattorie di campagna venivano sfruttati, e le donne e le ragazze violentate o costrette ad avere rapporti con l’uomo di casa per poter restare nascoste.'

Il tradimento: 'Nessuno di noi sospettava che la simpatica infermiera olandese e la calorosa famiglia fossero tutti agenti nazisti (…). Venni catturata il giorno del mio quindicesimo compleanno. Era l’11 maggio 1944 (…). Floris (un amico) mi porse un regalo (…) aprilo dopo colazione (…). Erano le otto e mezza e stavamo per cominciare a mangiare, quando si udì un deciso scampanellio alla porta (…). Di colpo si scatenò la baraonda. Dei soldati salirono rumorosamente le scale. I nazisti puntarono le canne delle armi dritte sulle nostre facce stupite e paralizzate (…). Non apri mai il mio regalo (…). Ero una ragazzina di soli quindici anni ed ero stata braccata dai nazisti di Paese in Paese, costretta a lasciare la mia casa e a nascondermi e ora mi trovavo in carcere. Ero sopraffatta dalla rabbia e dall’amarezza, ma in fondo sentivo un gran vuoto (…). Le baracche di legno e le condizioni di vita erano primordiali e la gente aveva l’aria tesa e preoccupata, ma non disperata.'

Il viaggio per Auschwitz-Birkenau: 'Eravamo a Westerbork da soli due giorni quando ricevemmo la terribile notizia: i nostri nomi erano sulla lista per il prossimo trasporto (…). Come mi avvicinavo al treno, vidi che molte persone dei primi carri bestiame erano zingari. Il trasporto in cui fummo ammassati partì il 19 maggio 1944 e portò 699 persone in diciotto vagoni. Dei 453 ebrei a bordo, 41 erano bambini. I bambini costituivano anche metà dei 246 zingari. Rimanemmo lì per più di un’ora. In seguito, scoprì che in quella carrozza c’erano più di cento persone, ma in quel momento sapevo solo che eravamo tutti schiacciati gli uni contro gli altri senza alcuno spazio per sedersi o muoversi. Alzando lo sguardo, vidi due finestrelle con le inferriate vicino al soffitto e due secchi di ferro in un angolo (…). Con un lungo e lento scossone, il treno cominciò a muoversi ed ebbi la sensazione di iniziare un viaggio all’inferno.'

Continua....

Fonte 'Sopravvissuta ad Auschwitz' di Eva SchlossKaren Bartlett. Newton Compton Editori

mercoledì 20 gennaio 2021

Conte 'uno e trino', ma stavolta sarà dura restare in sella

Giuseppe Conte diventato presidente del Consiglio per l’inadeguatezza dei leader politici del M5s ad assumere quell’incarico sta dimostrando una capacità di resistenza senza precedenti

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Giuseppe Conte

Quando nel giugno 2018 nacque l’esecutivo ‘pentaleghista’ ad essere chiamato alla guida del Governo è stato Giuseppe Conte. Il suo nome è stato fatto al Capo dello Stato dall’allora leader del M5s, Luigi Di Maio. Avvocato e professore universitario ha dichiarato di essere stato sempre un elettore del Centrosinistra. Non è stato eletto in Parlamento e non è stato mai candidato a nessuna carica elettiva per le amministrative. Non è iscritto e non è un esponente di partito. Dal punto di vista politico era fino ad allora uno sconosciuto.

Un democristiano di sinistra, lo ha definito qualcuno. Capace di mediare e di sapersi adeguare ad ogni situazione. La sua presidenza alla guida del Governo giallo-verde si è dimostrata da subito coriacea, anche se in certi passaggi è apparso subalterno al ministro degli Interni, Matteo Salvini.

La nuova maggioranza che si è formata in Parlamento nel 2019 avrebbe dovuto comportare un cambio alla guida del Governo, invece no, ‘l’avvocato del popolo’, come si è definito, è riuscito a resistere.

Ora il terzo tentativo. In questi giorni ha dovuto confrontarsi con Matteo Renzi, il leader di Italia Viva che lo ha voluto alla guida del Conte 2 e che adesso, paradossalmente ma non troppo, ha aperto la crisi.

I margini per un Conte-ter ci sono, ma sono stretti. Un ritorno alle urne sarebbe incomprensibile per gli elettori e per i leader politici nazionali e dell'Unione europea. Giuseppe Conte resisterà ancora una volta o è lecito prospettare un suo passo indietro?

La legislature dovrebbe concludersi nel 2023 ed il prossimo anno dovrà essere eletto il nuovo capo dello Stato. Di certo, gran parte dei deputati e dei senatori di Italia Viva, del M5s e non solo sanno che con le elezioni politiche anticipate per loro sarebbe difficile un ritorno in Parlamento.

Il Conte 2 è nato anche per questi motivi e non è escluso che il Conte 3 si formi per le stesse ragioni. 

domenica 17 gennaio 2021

Tesori di Sicilia: arcobaleni d’inverno

Tutto è protetto dai colori tenui e sfocati di due arcobaleni, sembrano un’estensione del mare, che tutto avvolge, come una mamma ed un papà che proteggono i loro figli, tutto senza sapere che tra poco sarà già passato

di Pulvino Elena

Torremuzza, 16 gennaio 2021 - (Foto di Pulvino Elena)

   Al centro, quasi nascosta, la fontanella di Sant'Antonino da dove una volta  arrivava l’acqua da Maccarruni, i torremuzzari nei giorni di siccità ci andavano con i bidoni, le bacinelle o i secchi a fare approvvigionamento e non importava se essa fosse controllata oppure no, la necessità, si sa, fa superare le precauzioni e le prevenzioni, la scelta era obbligata ed era consuetudine di chi tornava dalla spiaggia di usare quell'unica sorgete per togliersi di dosso un po’ di sale e di sabbia,

   lì inizia ‘a vanedra’, una stradina che scende fino quasi a chiudersi, per aprirsi, infine, sulla piazza, di fronte ai ponti della ferrovia con i suoi tre archi da cui è possibile scorgere il mare,

   dall’altro lato la cabina Telecom divelta dal vento di libeccio ed ora chiusa con lo scotch, chissà per quanto tempo resterà così, ma qui siamo nel profondo Sud, tutto è incerto ed aleatorio

   accanto due panchine in pietra, occasione per una breve sosta o per incontri tra giovani innamorati che a volte non sanno di esserlo, ma che importa,

  in primo piano l’ombra creata dalla luce del sole che, come ogni pomeriggio di ogni giorno non coperto dalle nuvole, disegna la sagoma di un altro edificio 'invisibile', ma che c’è, con le sue finestre, la sua scala scoperta, i suoi balconi, anch’essi intrisi di ricordi lontani, che vanno, tornano, ripartono quando e come vogliono, senza possibilità di fermarli, senza possibilità di impedirli,

  tutto è protetto dai colori tenui e sfocati di due arcobaleni, sembrano un’estensione del mare, che tutto avvolge, come una mamma ed un papà che proteggono i loro figli, tutto senza sapere che tra poco sarà già passato,

  è trascorso quasi un anno, tutto continua ad essere, come che se non fosse successo nulla, un tempo rubato, un tempo che non doveva esserci, non così almeno,

  ora, anche questi colori di gennaio sono già passato, sono solo un ricordo a tempo determinato, destinato a rimanere intrappolato in questa immagine scolorita come lo è la nostra breve ed incerta esistenza.