lunedì 16 marzo 2020

Coronavirus: è il momento della paura

Paura, non c’è un altro termine che possa definire meglio lo stato d’animo degli italiani. Ci sono voluti 46 giorni di epidemia, 1.809 morti e 24.747 contagiati per capire che la situazione era grave, ora in giro c’è tanto smarrimento e timore per il futuro

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Disegno di Giulio Ciccia
I flash mob organizzati per ringraziare chi in queste settimane ha messo la propria vita a disposizione dei malati (ma tanti medici lo fanno tutti i giorni) sono soprattutto un timido tentativo per scacciare il ‘mostro’: il CoronavirusUn'epidemia che sta cambiando le nostre abitudini e la nostra vita. Tutti mutamenti indotti per paura del contagio.
Figli e nipoti che evitano di andare a trovare i genitori o i nonni anziani. Amici che non vedi da settimane e con i quali prendevi il caffè al bar o con cui passavi le serate o il weekend. Per ultimo la rinuncia al pranzo domenicale con i familiari.  
Per strada non c’è nessuno. Di tanto in tanto si sente, amplificato dal silenzio, lo strepitare del motore di un’auto che sfreccia a tutta velocità. Di certo, il conducente sta correndo a casa o al lavoro. Poi torna il silenzio. Nessuno alle finestre. Nessuno affacciato ai balconi. Solo nei momenti condivisi in Rete i palazzi si rianimano, ma sono solo episodi estemporanei, poi di nuovo tutti chiusi in casa. A chattare, a cercare in Rete o in televisione le ultimi informazioni sul ‘mostro’. A stare lì, seduti in poltrona, a riempirsi la testa su come difendersi, su come fare per sottrarsi ai contatti, su come evitare il contagio. Certo tutto serve per allontanare i cattivi pensieri e soprattutto per cacciare nel profondo del nostro inconscio il rimorso per non aver agito per il bene comune quando si poteva.
È la paura. È la speranza che non tocchi a noi. Una volta si facevano i ‘voti’ religiosi per evitare il peggio, oggi si fanno gli esorcismi con i flash mob, ma il senso è sempre lo stesso. In questi momenti di difficoltà si prendono impegni ‘buonisti’. Se tutto andrà bene sarò più onesto, non penserò solo a me stesso, terrò un comportamento più altruista.
Intanto, il virus si sta diffondendo in tutte le regioni e, se continua così, dopo la paura ci sarà il panico. Lo stesso che la settimana scorsa ha caratterizzato il comportamento di tanti piccoli risparmiatori, che con le loro insicurezze hanno fatto la felicità dei soliti noti, gli speculatori e gli affaristi.
Ma tutto questo non durerà. Tra poco, tutto tornerà come prima. Allora vorrà dire che la paura sarà passata, che il panico non ci sarà stato e che ognuno potrà tornare a farsi i fatti suoi.


giovedì 12 marzo 2020

Andrea Agnelli e l’arroganza del capitalismo italiano

‘I bergamaschi con una grande prestazione sportiva hanno avuto accesso diretto alla Champions. Giusto o meno, penso poi alla Roma, che ha contribuito negli ultimi anni a mantenere il ranking dell'Italia, ha avuto una brutta stagione ed è fuori. Bisogna proteggere gli investimenti’, questo è quanto ha dichiarato nei giorni scorsi Andrea Agnelli

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da tuttosport.com
Per il presidente della Juventus, Andrea Agnelli, nel calcio non contano i meriti, ma i soldi. Il suo ragionamento è semplice ed arrogante nello stesso tempo: i ‘poveracci’ non devono scalfire il ‘suo potere’ economico e di decisione. Quest’argomentazione è tipica di un individuo che deve la sua ricchezza ad altri. In particolare, al capitale accumulato durante il fascismo da uno dei fondatori della Fiat: Giovanni Agnelli, bisnonno di Andrea. L’azienda automobilistica torinese ha fatto ‘fortuna’ in quegli anni. Successivamente, nel dopoguerra, essa si è affermata in Italia con gli aiuti di Stato che governi di ogni colore politico gli hanno garantito. Situazione che è continuata con l’inizio del nuovo secolo. L’accordo siglato con il presidente degli Usa Barak Obama ha consentito alla famiglia Agnelli l’acquisizione della Chrysler. Oggi è una multinazionale in grado di condizionare le scelte di politica economica di diversi governi nazionali.
Altro che libera iniziativa privata, la Fca è un impero economico creato e cresciuto grazie agli aiuti di Stato. Il principio fondante del sistema economico capitalistico dovrebbe essere la meritocrazia, almeno a parole. Tutti sanno, invece, che il sistema non funziona così. Le idee di Andrea Agnelli sul calcio lo dimostrano. La creazione di una Superlega che comprenda solo le squadre che dispongono di maggiori risorse finanziarie, non sorprende. Per il presidente della Juventus non contano le abilità di chi riesce a vincere e primeggiare anche se dispone di risorse limitate. I ‘poveracci’ devono stare al loro posto. Il potere nel calcio e non solo spetta a chi ha i soldi, anche se questi sono stati ereditati e sui quali i ‘fortunati’ non possono vantare alcun merito.



giovedì 5 marzo 2020

Coronavirus all’italiana: bene il Governo, male gli italiani

Tutto il buon lavoro fatto finora dal Governo sull’epidemia del Coronavirus potrebbe essere insufficiente a limitare il diffondersi dell'epidemia, ma stavolta la responsabilità non è dei ‘politici’, ma dell’egoismo e dell’ignoranza di una parte degli italiani

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Mappa aggiornata della diffusione del Coronavirus
(da youtg.net)
Per una volta le decisioni prese dal Governo sull’epidemia dovuta al Coronavirus sembrano di buon senso ed idonee alla situazione di pericolo per la salute pubblica degli italiani e non. Provvedimenti presi con oculatezza, senza allarmare la popolazione. I vari ministri e responsabili del SSN, nonostante la gravità della situazione, hanno agito con cautela, senza anticipare inutilmente i rimedi e le precauzioni necessarie a limitare e, comunque, a rallentare il propagarsi del virus. Certo alcune interviste e richieste fatte dai governatori della Lombardia e del Veneto sono apparse pretestuose e non idonee alla situazione, ma si sa i leghisti sono così, come il loro elettorato, un po' ‘alla buona’.
Una parte degli italiani è poco abituata al rispetto delle regole ed al senso del dovere. Siamo un popolo individualista che fatica ad agire nel solo ed esclusivo interesse del bene comune. Il comportamento tenuto in questi giorni dai lavoratori emigrati nelle città settentrionali, ne è un esempio. In molti, appena hanno potuto, non hanno esitato e sono ‘scappati’ per tornare, anche se solo per pochi giorni, nelle loro città di origine. Chi ha potuto allontanarsi dai luoghi dove si sono sviluppati i primi focolai del virus lo ha fatto senza pensare alle possibili conseguenze, dimostrando di non avere alcun senso di responsabilità verso gli altri. Nei giorni scorsi, dopo la chiusura provvisoria delle scuole della Lombardia, del Veneto e dell’Emilia-Romagna, molti insegnanti del Sud, che lavorano in quegli istituti, hanno approfittato dei giorni di interruzione delle lezioni per scendere nelle loro città, così come se fosse una vacanza qualsiasi.
A questo punto è evidente che un rapido sviluppo del virus anche nelle regioni meridionali diventa assai probabile. La leggerezza e la superficialità di questi lavoratori pendolari potrebbe costare cara a parenti ed amici, ma si sa gli italiani siamo così, pensiamo e riteniamo, con convinzione, che le responsabilità non sono mai nostre, ma sempre degli altri.
Ed ora tutto il buon lavoro fatto dal Governo potrebbe essere insufficiente a limitare la diffusione dell'epidemia, ma stavolta non sarà ‘colpa’ dei ‘politici’, ma dell’egoismo e dell’ignoranza di una parte degli italiani.


mercoledì 26 febbraio 2020

Chi sarà il primo sindaco d'Italia?

L'ultima ‘idea’ di Matteo Renzi è il Sindaco d'Italia, una riforma costituzionale difficile da realizzare, ma molto simile all'elezione diretta del Presidente della Repubblica propugnata dalla Destra italiana

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Giorgia Meloni, Matteo Renzi e Matteo Salvini
(foto da ilprimatonazionale.it
Nel corso della trasmissione Rai 'Porta a Porta' il segretario di Italia Viva, Matteo Renzi, ha dichiarato: 'Bisogna riformare le istituzioni, il Paese ha bisogno di un 'sindaco d'Italia'. Ed ancora: 'Siccome non si può andare avanti così, faccio un appello a tutte le forze politiche: fermi tutti, portiamo l’unico metodo istituzionale che funziona, che è quello dei sindaci, a livello istituzionale. Il sindaco d’Italia. Si vota una persona che sta lì per 5 anni'. L’ex segretario del Pd non si rassegna. Continua a ritenersi il 'Capo' indiscusso del Centrosinistra. La parabola discendente della sua leadership è evidente a tutti ma non a lui. Con la sua segreteria i democratici sono passati dal 40% delle europee del 2014 al 18,7% delle ultime elezioni politiche, a cui si deve aggiungere il tonfo nel referendum costituzionale del 2016. Inevitabili le dimissioni dalla segreteria, ma dopo l'elezione di Nicola Zingaretti è uscito dal partito per fondarne uno nuovo: Italia Viva. Un raggruppamento di 'Centro' che gli consenta di continuare ad essere leader di 'qualcosa' e che, nello stesso tempo, lo ponga al centro dell'attenzione mediatica e politica. 
Si sa, egocentrismo, ambizione e spericolatezza animano l’esponente politico toscano, ma non è il solo. Solo pochi mesi fa Matteo Salvini chiedeva ‘i pieni poteri’, cioè di poter governare senza vincoli o compromessi. Sulla stessa linea l’altra esponente del Centrodestra, Giorgia Meloni. La leader di FdI da tempo ha fatto dell’elezione diretta del Presidente della Repubblica il simbolo della linea politica propugnata della Destra italiana. Insomma, i tre politici chiedono la stessa cosa: una radicale semplificazione delle procedure democratiche. Ma le analogie non finiscono qua. Affini sono anche le proposte sull’economia, sulla corruzione, sulla prescrizione, sulla scuola, sui rapporti con l’Unione Europea e così via.
Programmi analoghi ed un’idea di architettura istituzionale simile: un uomo solo al comando o comunque un Governo che ‘decida’ ed operi senza se e senza ma, che possa agire, cioè, senza i compromessi ed i vincoli di legge tipici di un sistema democratico parlamentare.
Certo oggi è difficile ipotizzare un’alleanza tra il nuovo partito di Renzi ed il Centrodestra, ma domani chissà? Se dovesse cadere il governo Conte ogni soluzione potrebbe diventare possibile, anche un Esecutivo istituzionale con i due Matteo e la Meloni insieme. Tutto, ovviamente, nell’attesa di sapere chi sarà il primo sindaco d’Italia tra Renzi, Salvini e la Meloni.


venerdì 14 febbraio 2020

Diminuiscono le nascite, ma il calo dei residenti è ‘solo’ al Centro-Sud

Diminuiscono i residenti nel Mezzogiorno e nel Centro, mentre prosegue, nonostante il calo delle nascite, il processo di crescita della popolazione nelle regioni del Nord Italia

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da istat.it
Secondo i dati pubblicati dall'Istat nel 2019 i residenti sul territorio nazionale erano 60 milioni 317 mila, 116 mila in meno rispetto al 2018. Nello stesso periodo è aumentato il divario tra nascite e decessi, ogni 100 persone scomparse ci sono state 67 nascite, dieci anni fa erano 96. Il calo dei residenti è una costante degli ultimi cinque anni, ma la tendenza è diversa a seconda delle aree geografiche del Paese. Le diminuzioni si sono verificate nel Mezzogiorno (-6,3 per mille) e nel Centro (-2,2 per mille), mentre nel Nord Italia è continuato il processo di crescita della popolazione (+1.4 per mille).
Il maggior incremento è stato registrato nelle Province autonome di Bolzano e Trento e nelle regioni della Lombardia e dell’Emilia-Romagna. ‘Particolarmente critica’ è, invece, la situazione in Molise e Basilicata. Le due regioni hanno perso, in un solo anno, l'1% della loro popolazione.
Un altro motivo dello spopolamento del Mezzogiorno è la migrazione interna. Il calo dei residenti è una costante dal 2014. Sono diminuiti i flussi migratori netti: il saldo è stato positivo per 143 mila unità (32 mila in meno rispetto al 2018), ma anche i nuovi arrivati emigrano nelle città del Nord.
I dati pubblicati dall’Istat non sono una novità. Confermano un andamento in corso da almeno due decenni. Il calo dei residenti nel Mezzogiorno è la logica conseguenza del suo declino economico. Un trend che sembra inarrestabile e la buona volontà di chi resta non è sufficiente per invertire la tendenza.

Fonte istat.it

domenica 9 febbraio 2020

Graviano, la Mafia ed i ‘Poteri forti’

‘La mia famiglia e il Cavaliere erano soci’, quest'affermazione, subito smentita dai legali di Silvio Berlusconi, è stata fatta dal boss mafioso Giuseppe Graviano

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Silvio Berlusconi e Giuseppe Graviano
(foto da infosannio.wordpress.com)
Le rivelazioni fatte nel corso del processo alla ‘ndrangheta che si sta celebrando a Reggio Calabria dal boss mafioso stragista Giuseppe Graviano non sorprendono. La Mafia ha sempre stretto patti con ‘i poteri forti’ e con settori deviati delle istituzioni. Senza queste ‘relazioni’ la criminalità organizzata non avrebbe potuto proliferare ed arricchirsi. La storia italiana è caratterizzata da collusioni e, in taluni casi, da veri e propri legami associativi della ‘Politica’ con ‘Cosa nostra’. Ecco come Giovanni Fasanella e Mario José Cereghino, autori del libro Tangentopoli nera, definiscono i legami tra il Fascismo e la Mafia. ‘Eloquenti anche le informazioni sui rapporti tra il fascismo e la mafia, a dispetto del mito creato dalla propaganda del regime intorno alla figura del <Prefetto di ferro> quel Cesare Mori inviato in Sicilia negli anni Venti per debellare le cosche. In realtà, fin dal 1919, Mussolini ha sistematicamente perseguitato e annientato le vecchie <famiglie> rurali ancora legate ai partiti dell’età liberale, sostituendole con la <giovane mafia> in camicia nera, diretta espressione del Pnf, composta da delinquenti comuni di città provenienti dai ranghi criminali più bassi, ladri, ruffiani, borsaioli, rapinatori, assassini, spacciatori, tutti elementi violenti e aggressivi per indole. Insomma, le stesse tipologie emerse dai rapporti di polizia sulla banda Giampaoli (gerarca fascista). Non è casuale, dunque, che diversi elementi provenienti dall’isola operino nelle squadre d’azione milanesi e di altre città del Nord.
I rapporti affaristici tra il regime e le cosche si ramificano anche oltreoceano e passano attraverso un pezzo da novanta delle famiglie americane di origine siciliana e campana: Vito Genovese, il tramite occulto fra Mussolini e un notissimo editore e costruttore statunitense nato in provincia di Benevento, Generoso Pope. Assieme ai suoi tre figli, dietro la facciata di stimato imprenditore, Pope è in realtà uno dei capi delle organizzazioni criminali italiane negli Usa. Controlla il fronte del porto di New York, ha di fatto il monopolio delle opere edilizie a Manhattan, è proprietario del quotidiano Il Progresso Italo-Americano, ha contatti con gran parte del mondo politico e gode di ampie entrature persino alla Casa Bianca del presidente Franklin Delano Roosevelt. Tra i suoi sodali, oltre a Vito Genovese, c’è anche il terribile Frank Costello. Pope appoggia il fascismo sin dai primordi, tant’è che nei suoi viaggi a Roma ha più volte incontrato Mussolini. È la sua rete criminale, oltre a essere in affari con il Duce ed altri gerarchi, serve anche da supporto occulto per l’intelligence italiana sulla costa orientale degli Sati Uniti. Un patto d ferro che andrà avanti fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale’.

Fonte ‘Tangentopoli Nera’ di Mario José Cereghino e Giovanni Fasanella, editore Sperling & Kupfer

lunedì 20 gennaio 2020

I ricchi sono sempre più ricchi

‘La ricchezza globale rimane concentrata al vertice della piramide distributiva’, a dirlo è il rapporto pubblicato da Oxfam Italia

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da oxfamitalia.org
‘L’1% più ricco deteneva a metà del 2019 più del doppio della ricchezza netta posseduta da 6,9 miliardi di persone’. Questo è quanto afferma il rapporto Time to care pubblicato da Oxfam Italia. Ed ancora, ‘2.253 persone detenevano più ricchezza di 4,6 miliardi di persone’, cioè circa il 60% della popolazione globale. ‘Il patrimonio di 22 persone più facoltose è superiore alla ricchezza di tutte le donne africane’.
In Italia, l’1% più ricco ‘superava quanto detenuto dal 70% più povero’. Il 10% possedeva ‘oltre 6 volte la ricchezza del 50% più povero’. Il 20% più ricco detiene il 69,8% della ricchezza nazionale netta, mentre il 60% più povero detiene il 13,3%.
L’ascensore sociale è fermo. ‘I ricchi sono figli di ricchi ed i poveri figli di poveri’. Un terzo dei figli di genitori più poveri è destinato a rimanere tale, mentre il 58% di quelli i cui genitori appartengono al 40% più ricco manterrà la posizione di privilegio. 
Il lavoro è sempre più precario e mal retribuito. Oltre il 30% dei giovani occupati guadagna meno di 800 euro lordi al mese. Il 13% è working poor. Nel mondo ‘il 46% di persone vive con meno di 5,50 dollari al giorno’.
Il 42% delle donne non può lavorare perché deve farsi carico della cura di familiari. Le donne spesso sono sottopagate e con orari di lavoro irregolari. A livello globale impiegano ‘12,5 miliardi di ore di lavoro non retribuito al giorno’.
Insomma, il Rapporto conferma ancora una volta che abbiamo creato un mondo fatto di ingiustizie, dove milioni di persone vivono in povertà, mentre le diseguaglianze sociali ed economiche anziché diminuire crescono, ma questa non è una novità.


giovedì 16 gennaio 2020

Le ingiustizie del sistema pensionistico italiano

L’Art. 53 della Costituzione italiana stabilisce: ‘Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività’

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Forto da miowelfare.it
Il sistema previdenziale italiano sta accentuando le differenze reddituali tra le classi sociali e tra le aree territoriali del Paese. Il report sulla spesa pensionistica nel 2018 pubblicato dall’Istat evidenzia, tra gli altri, due dati. Il primo riguarda le differenze d’importo tra le indennità erogate, il secondo il divario territoriale per tipo di pensione e spesa complessiva sostenuta dallo Stato italiano.
‘Ad un quinto dei pensionati con indennità più alte va il 42,4% della spesa complessiva’, mentre ‘al 20% dei redditi pensionistici più bassi va poco più del 5% della spesa’. Il 36,3% dei pensionati riceve mensilmente meno di 1.000 euro lordi, il 12,2% non supera 500 euro. Un pensionato su quattro percepisce un reddito lordo da pensione sopra i 2000 euro. I pensionati sono circa 16 milioni (il 26,6% del totale della popolazione italiana), mentre i trattamenti di quiescenza sono poco meno di 23 milioni. La spesa totale nel 2018 è stata di 293 miliardi di euro (+2,2% rispetto al 2017), cioè circa il 16,6% del Pil. Di questi 265 miliardi di euro (91% del totale) sono stati utilizzati per erogare pensioni IVS, cioè per invalidità, vecchiaia e superstiti. Le pensioni assistenziali (invalidità civile, pensioni sociali e di guerra), sono circa 4,4 milioni e costano ogni anno circa 23,8 miliardi di euro. Ogni 606 pensionati ci sono 1000 persone occupate, nel 2000 erano 683.
A livello territoriale più del 50% della spesa complessiva è stata erogata ai residenti nel Nord del Paese, il 27,8% nel Mezzogiorno e il 21,1% nel Centro. Questo significa che a maggiori opportunità occupazionali corrispondono ‘indennità pensionistiche altrettanto adeguate. In questo modo l’articolo 53 della Costituzione non solo è stato disatteso, ma le continue riforme del sistema previdenziale hanno creato una vera e propria babele piena di ingiustizie per quanto riguarda l'età di quiescenza e gli importi erogati. C’è chi è andato in pensione con meno di 40 anni di età e chi invece ci andrà a settant’anni. Inoltre, con l’introduzione del sistema contributivo le disuguaglianze e le ingiustizie cresceranno anche nell’importo dell’indennità, in particolare tra chi ha avuto un lavoro stabile e ben retribuito e chi invece avrà svolto lavori precari o saltuari e spesso mal pagati. Questo creerà ulteriori diseguaglianze tra i pensionati e tra le diverse aree del Paese. Ed è anche per questo, sottolinea il rapporto dell’Istat, che le famiglie del Sud ‘presentano un’incidenza al rischio povertà ed esclusione sociale maggiore rispetto a chi risiede nelle regioni settentrionali’.

Fonte istat.it


martedì 14 gennaio 2020

‘I resilienti delle comunità montane’

L’Assemblea regionale siciliana ha approvato la legge-voto che prevede agevolazioni fiscali per chi investe nei Comuni dell’entroterra. Ora i siciliani attendono il via libero definitivo dal Parlamento nazionale

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Gangi (Pa), sullo sfondo l'Etna - (foto di Oddo Giuseppa)
Nei giorni scorsi l’Assemblea regionale siciliana ha approvato una legge-voto per l’istituzione di agevolazioni fiscali nei Comuni montani. La nuova normativa prevede esoneri contributivi per gli Enti locali con meno di 15 mila abitanti e che si trovano almeno a 500 metri di altezza dal livello del mare. Si tratta di paesi che stanno subendo un graduale ma inesorabile spopolamento. In particolare, è prevista una riduzione dell’aliquota dell’Imu per le nuove attività che utilizzeranno i locali sfitti, l’Iva agevolata e aiuti per le startup. ‘Attendevamo questo momento da 1.706 giorni’ ha dichiarato il coordinatore regionale del comitato delle Zfm (Zone franche montane), Vincenzo Lapunzina. Ora il destino delle aree montane è nelle mani dello Stato, a cui chiediamo di essere leale con la Sicilia, atteggiamento che in passato è mancato soprattutto nei confronti dei resilienti delle montagne dell’isola’. La commissione paritetica Stato/Regione dovrà, ora, decidere se destinare una parte dei cespiti tributari maturati in Sicilia al finanziamento delle aree Zfm che il presidente della Regione individuerà nei prossimi sei mesi.
C’è un Sud che non si arrende, che resiste e combatte contro la decadenza e lo spopolamento. Le politiche di rigore nel bilancio statale iniziate alla fine del secolo scorso hanno penalizzato soprattutto le aree interne del Sud e non solo. Sono diminuiti i dipendenti degli enti locali territoriali e ridotti notevolmente i trasferimenti di risorse finanziarie e, peggio ancora, sono stati chiusi diversi uffici pubblici e presidi ospedalieri e giudiziari, nonché gli sportelli postali e bancari. Tagli che limitano le opportunità di lavoro, soprattutto per diplomati e laureati, molti dei quali oggi sono costretti ad emigrare. Non solo, il conseguente calo dei residenti determina la chiusura delle scuole e le poche attività agricole, commerciali e artigianali, oberate dai costi e dalle imposizioni fiscali, sono costrette a chiudere. Inoltre, molte case e capannoni rimangono sfitte o inutilizzati, ma su cui è obbligatorio continuare a pagare le imposte locali e nazionali (Imu, Irpef, accise sulla corrente elettrica, etc.)
Il paradosso è che, nonostante questa ‘spending review’ sulle comunità locali, il debito pubblico continua ad aumentare sia in termini assoluti, sia in rapporto con il Pil. Quella attuata finora è stata una politica economica fallimentare e miope che sta solo determinando la ‘morte’ di tanti piccoli paesi montani e non solo. Ma gli abitanti di queste comunità non si arrendono. La bellezza e la grandezza dell’Italia derivano dalla varietà di culture e tradizioni. Non si può continuare ad assistere passivamente a questo decadimento. La Sicilia, come altre regioni del Sud, sta facendo la sua parte, ora tocca alle autorità nazionali agire, ma i dubbi su un deciso intervento statale sono tanti e tutti legittimi. 




sabato 4 gennaio 2020

Prima la vita dei lavoratori, poi il profitto

Inizia male il 2020, nuova tragedia sui luoghi di lavoro. Nella fabbrica della Sevel di Castel di Sangro è morto un giovane operaio, Cristian Perilli  

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Adriano Olivetti - (foto da fondazionenenni.blog)
Il nuovo anno comincia come si è chiuso quello precedente. Si chiamava Cristian Perilli ed è la prima vittima per incidente sul lavoro del 2020. Aveva 29 anni. Operaio della ditta Sinergia è rimasto schiacciato da un supporto di ferro cadutogli addosso mentre stava sostituendo un tirante ad un discensore. Inutili sono stati i tentavi di soccorso degli operatori del 118.
L’incidente è avvenuto nella fabbrica di Atessa in provincia di Chieti. La struttura in questi giorni era chiusa per le ferie natalizie, ma erano in corso lavori di manutenzione per conto della Comau, società del gruppo FCA. Il giovane di Pignataro Interamna (Frosinone) era un dipendente della ditta esterna che svolgeva i lavori. Probabilmente si è trattato di una fatalità. Ora resta il dramma, Cristian, uscito di casa per andare al lavoro, non vi farà mai più ritorno. Tutto questo è inaccettabile. Siamo nel 2020, nell’era dei computer, dell’informatizzazione, della robotica, eppure si continua a morire di e per il lavoro.
Le leggi ci sono, ciò nonostante si ripetono gli incidenti ed i lavoratori continuano a subire infortuni o contrarre malattie e nei casi più gravi a perdere la vita. Prevenzione e controlli evidentemente non sono sufficienti o non sono adeguati. No, non ci si può rassegnare ad assistere a queste tragedie. Il lavoro deve essere un mezzo per vivere una vita dignitosa, non diventare una dramma. Occorre fare di tutto per evitare gli incidenti sul lavoro, se necessario si prendano misure eccezionali, ma bisogna intervenire. 
E' indispensabile mettere al centro del processo produttivo il lavoro ed i lavoratori così come fece negli anni Sessanta Andrea Olivetti. Fu considerato un utopista. Nella sua ‘idea’ di impresa c’erano i lavoratori con le loro famiglie. Sicurezza, cultura e creatività erano punti essenziali dell’organizzazione produttiva. Ecco cosa affermava: ‘La fabbrica non può guardare solo all'indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia. Io penso la fabbrica per l'uomo, non l'uomo per la fabbrica, giusto? Occorre superare le divisioni fra capitale e lavoro, industria e agricoltura, produzione e cultura. A volte, quando lavoro fino a tardi vedo le luci degli operai che fanno il doppio turno, degli impiegati, degli ingegneri, e mi viene voglia di andare a porgere un saluto pieno di riconoscenza’.
Prima la vita dei lavoratori, poi il profitto.

Fonte ansa.it