sabato 28 agosto 2021

Isis, solo odio e morte, ma perché?

Non sono i primi e non saranno gli ultimi. Sacrificare la propria esistenza per causare stragi e lutti fa parte del cammino dell’uomo. È inevitabile, ma che senso ha?

di Giovanni Pulvino

'Segui i tuoi sogni' - Opera di Bansky 
(foto da it.blastingnews.com)
La strage all’aeroporto di Kabul del 26 agosto è indicibile. Circa 200 morti e altrettanti feriti, ma perché? Erano uomini, donne e bambini che non facevano male a nessuno. La vita è una, non c’è una seconda volta, allora perché?

Sono decenni che i terroristi dell’Isis compiono attentati kamikaze con il solo scopo di uccidere persone innocenti. È una corsa a togliere la vita, ma qual è il loro scopo?

La fede religiosa è solo un pretesto, nessun Dio può volere la morte di un essere umano.

E nessun ideale politico può propugnare la morte del suo popolo. È una contraddizione in termini.

E non ci possono essere spiegazioni sociologiche o economicheL’odio e la violenza sui civili inermi aumentano le ingiustizie anziché impedirle. Le disuguaglianze si riducono con la crescita culturale e civile di un popolo. 

Allora, perché? Non abbiamo una seconda alternativa, si nasce e si muore una volta sola. Cosa spinge questi uomini e queste donne a togliersi la vita per negarla ad altri? Quanto odio c’è nei loro cuori per dare la morte ad un bambino che pochi secondi prima di premere l’innesco esplosivo hai guardato negli occhi e magari gli hai fatto un sorriso?

Cos’hanno concluso? Nulla, se non aver causato dolore e sofferenza in chi resta, ma anch’esse sono memorie a termine, destinate ad avere una fine.

Non c’è e non ci può essere una motivazione. Togliere la vita non ha senso, mai. Non siamo indispensabili, il mondo andrà avanti anche senza di noi e malgrado noi. Allora perché uccidere?

Questi atti mostrano la precarietà della vita e l’irrazionalità dei nostri gesti, il cammino dell’uomo è incerto e breve, oltre non c’è nulla.

E non è una questione di potere. Piuttosto è paura. Incutere terrore per non mettersi in discussione. Per non vedere i propri limiti e le proprie frustrazioni. 

Come sono tristi questi uomini e queste donne che si autodistruggono. Sono esistenze a perdere, nient’altro. Uccidono perché sono incapaci di vivere. Odiano le donne perché non sanno amarle. Tolgono la vita ai loro figli perché non hanno un futuro su cui credere.

Eppure, fanno parte della storia dell’uomo. Non sono i primi e non saranno gli ultimi. Sacrificare la propria esistenza per causare stragi e lutti fa parte del nostro cammino. È inevitabile.

Sono solo odio e morte, ma sono destinati a passare, come tutto come tutti, allora perché?

 

giovedì 26 agosto 2021

Covid-19 e la pandemia dei non vaccinati

La maggior parte di coloro che attualmente sono ricoverati nei reparti Covid-19 e nelle terapie intensive sono soggetti non immunizzati al Coronavirus

di Giovanni Pulvino

Foto da salute.gov.it

Ad un aumento dei casi di contagio al Covid-19 non corrisponde un analogo incremento dei ricoveri. I pazienti ed i decessi registrati nell’ultimo mese sono meno rispetto a quelli verificatisi nella ondate precedenti della pandemia. È l’effetto positivo dei vaccini.

Negli ultimi trenta giorni i soggetti non vaccinati che sono stati ricoverati nei reparti Covid-19 sono il 76%, quelli in terapia intensiva l’82% ed i deceduti il 75%.

La curva della quarta ondata sembra stabilizzarsi, ma l’immunità di gregge non si potrà raggiugere nel breve periodo. Esperti e virologi sono concordi.

Le ragioni sono tre.

Innanzitutto, la rapidità con cui si diffonde la variante Delta.

La seconda è che, attualmente, non ci sono vaccini per chi ha meno di dodici anni. Quindi una parte consistente di popolazione (circa sei milioni di individui) è suscettibile di contrare il virus.

Poi ci sono i No vax. Tra loro ci sono quelli che hanno più paura del vaccino che della malattia e quelli che pensano che il siero non serva a nulla.

I soggetti oltre i 12 anni di età non vaccinati sono circa 14 milioni. Gli scettici ed i contrari all'immunizzazione sono soprattutto ultracinquantenni. Si tratta di circa cinque milioni di individui che ancora non hanno ricevuto neanche una dose del siero. 

Il Covid-19, pertanto, continuerà a circolare.

Ci saranno due pandemie, quella dei vaccinati senza grossi problemi e quella dei non vaccinati purtroppo negli ospedali’, a sostenerlo su Radio Rtl 102,5 è stato Fabrizio Pregliasco virologo dell’Università di Milano.

Una buona notizia arriva dagli Stati Uniti d’America. La Food and Drug Administration (Fda) ha dato il via libera definitivo al vaccino Pfizer. Quindi, per le autorità sanitarie degli Usa questo vaccino è sicuro. Certo ha effetti collaterali come ogni altro farmaco, ma è l’unica arma che abbiamo per battere il Coronavirus. L’alternativa è l’ennesimo lockdown.

Chi non si vaccinava, perché era un vaccino autorizzato in via emergenziale, non ha più quest’alibi’, ha dichiarato a Sky tg24 Andrea Crisanti. Ed ha aggiunto: ‘Dal punto di vista giuridico diventa un vaccino approvato, che apre le porte a provvedimenti di legge che possono indurre all’obbligo della vaccinazione’.

Fonte iss.it

sabato 21 agosto 2021

Calcio e Tv, la Rai esclusa da tutto

Una volta per guardare i gol della domenica dovevi sintonizzarti su un canale della Rai, oggi puoi vederli in diretta, ma solo sulle emittenti private e, in gran parte, a pagamento

di Giovanni Pulvino

Il calcio è lo sport degli italiani. Una volta potevi guardare i gol e le sintesi solo sui canali della Rai. Novantesimo minuto, la Domenica sportiva, le dirette della Coppa Italia e di tanti altri eventi internazionali e non solo.

Con l’arrivo delle emittenti private è cambiato tutto.

L’azienda pubblica è un colosso per numero di dipendenti e per costi di produzione, ma è la cenerentola nella trasmissione di eventi sportivi in diretta, che, come si sa, sono i principali catalizzatori di telespettatori ed introiti pubblicitari. In più è l’unica a cui siamo obbligati a pagare il canone.

Alla Rai rimangono solo le partite della Nazionale, ma non sono più una sua esclusiva. Questi eventi si possono vedere anche sulle emittenti private.

Si dice che è troppo oneroso acquistare i diritti degli eventi sportivi, ma Mediaset, che non ha il canone, come fa a sostenere i costi di trasmissione in chiaro della Coppa Italia e di una partita a settimane della Champions LeaguePerché l'azienda pubblica si autoesclude da questo mercato?

Gli sportivi che vorranno vedere in Tv o sulla Rete il campionato italiano e le principali competizioni europee dovranno pagare i colossi del satellite ed ora anche del web. 

La stagione 2021/22 rappresenta una vera rivoluzione per televisione ed internet.

Dopo diciotto anni Sky (satellite) trasmetterà in co-esclusiva solo tre partite a giornata del campionato di Serie A. I tifosi potranno vedere tutti gli incontri solo in streaming (web) su Dazn. L’azienda britannica ha stipulato un accordo di partnership con Tim Vision, la Tv internet della Tim. Il campionato di Serie B andrà in diretta, oltre che su Dazn e Sky, anche sulla piattaforma web di Helbiz, azienda italo-americana di monopattini elettrici.

Mediaset ha acquistato 121 su 137 match della Champions League. 17 di queste e la finale saranno trasmesse in chiaro da Canale 5, le altre a pagamento su Infinity. Con Prime Video anche Amazon trasmetterà sulla Rete sedici gare del mercoledì sera di Champions, ovviamente saranno a pagamento.

I campionati esteri andranno in onda sui canali di Sky, Dazn e Tim Vision, mentre Mediaset si è assicurata l’esclusiva della Coppa Italia.

E la Rai? Nulla, a parte il chiacchiericcio dei tanti giornalisti ed opinionisti. Ormai l'azienda pubblica è un colosso dai piedi d’argilla. Tutte le volte che un amministratore delegato un tantino rigoroso tenta di ristrutturare i palinsesti per ridurne i costi, arrivano gli stop dei politici che invocano la libertà di stampa. 

Se non si rompe il legame tra partiti ed azienda la rinuncia ad acquistare i diritti degli eventi sportivi continuerà ad essere una scelta inevitabile.

Chi non ha fatto l’abbonamento a Sky, ad una delle piattaforme web o non può accedere a questi canali (zone bianche), potrà solo ascoltare la Radio e seguire lo spezzatino di partite su Tutto il calcio minuto per minuto, una delle poche trasmissioni che vale la pena continuare a seguire sui canali dell’azienda pubblica.

martedì 17 agosto 2021

Zarifa Ghafari: ‘I talebani presto verranno a prendermi, e mi uccideranno’

‘Sono qui, seduta, e qui resto. So che i talebani presto verranno a prendermi, e mi uccideranno, e così faranno con quelle come me. Ma non vado via’, Zarifa Ghafari, 15 agosto 2021

di Giovanni Pulvino

Foto di @Zarifa_Ghafari (dal profilo Twitter)
Sindaco di Maidanshahr dal 2019, Zarifa Ghafari è una delle poche donne afgane a ricoprire un’importante carica politica. Nel 2018, quando è stata nominata dal presidente Ashraf Ghani, aveva appena 26 anni. Per l’ostilità dei politici locali ha potuto iniziare il suo mandato solo nel 2019. Dopo aver prestato giuramento ha subito minacce di morte dai talebani e dall’Isis. 

E' diventata un modello per le altre donne afgane. Per questo motivo nel 2020 è stata scelta dal Segretario di Stato americano, Mike Pompeo, come International Woman of Courage. 


Il 5 novembre dello scorso anno, dopo l’assassinio di suo padre, ha detto: ‘Sono i talebani. Non mi vogliono a Maidanshar. Ecco perché hanno ucciso mio padre’.

Sono seduta qui ad aspettare che arrivino. Non c'è nessuno che aiuti me o la mia famiglia. Sto sola seduta con loro e mio marito. E verranno per le persone come me e mi uccideranno’. Queste potrebbero essere le ultime parole di Zarifa Ghafari.

La ‘fuga’ in fretta e furia della coalizione militare anti-talebana sta mettendo in pericolo la vita di decine di migliaia di uomini e donne che si sono fidati dei governi occidentali, compreso quello italiano.

Ad occupare e successivamente abbandonare l’Afghanistan non sono stati solo i marines a stelle e strisce, prima di loro negli anni ottanta lo hanno fatto i soldati dell’armata Rossa. Le due superpotenze militari non sono riuscite ad imporre i loro modelli istituzionali ed economici.

Ora, mentre il nostro ministro degli Esteri si gode il mare di Ferragosto, Zarifa è rimasta nella sua terra a difendere pacificamente i diritti e la dignità del suo popolo.  

E con Lei tanti attivisti e militanti a cui non resta che resistere e sperare di non diventare le nuove vittime dell’integralismo religioso.

Fonti: it.wikipedia.org e facebook.com

lunedì 16 agosto 2021

Gli zii e le zie di Torremuzza (parte seconda)

Per una questione di privacy i nomi ed i soprannomi sono indicati con le iniziali. Chi li ha conosciuti o li conosce certamente capirà di chi si tratta

di Giovanni Pulvino

Ci sono pensieri che è difficile riportare, anche se ritornano con più continuità degli altri

A za R., così la chiamavano tutti, ma non noi, i suoi figli. È difficile parlare e scrivere di Lei. Come è difficile parlare e scrivere du zu S., mio padre. Sono vissuti per mettere al mondo e per crescere nel migliore dei modi sei figli. Con i loro sacrifici ci hanno garantito un futuro sereno. Non avevano vizi, svolgevano due o tre lavori contemporaneamente ed avevano un senso della famiglia e della comunità che non è mai venuto meno. La loro gioia erano i nostri capricci, la nostra immaturità. Purtroppo, anche questo lo comprendi solo dopo. Quel giorno nell’aula magna dell’Università avevano gli occhi lucidi. Gli anni di studio sarebbero stati utili anche se fossero serviti solo per quel momento di commozione.

A volte di sera dovevo portare la cena a mio padre, operaio nello stabilimento dei fratelli G.. La strada era al buio e le uniche luci erano quelle della raffineria. All’arrivo gridavo per far sentire la mia presenza e per accelerare il ritorno a casa. Capitò poche volte, ma quanta paura ad andare e venire e soprattutto che impressione l’aspetto tetro della struttura ed il rumore cupo dei compressori. Allora non esisteva nessun obbligo sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, l’incendio che divampò quel giorno ci sorprese, ma considerata la precarietà dell'edificio fu un evento quasi annunciato. Certo fu dovuto ad un errore umano, ma in quelle condizioni era quasi inevitabile. Chi era di turno quella notte si salvò per 'miracolo', purtroppo non fu così per tutti. L'attività riprese poche settimane dopo, come se non fosse successo nulla.

Il richiamo delle terra natia è per noi borgatari irresistibile ed è lì che vuoi vivere gli ultimi giorni della tua vita

Chi non lavorava nello stabilimento o non riusciva a vivere in modo dignitoso del poco che dava la pesca era costretto a partire. Ancora oggi è così. All’inizio degli anni Settanta le famiglie emigravano anche dal Borgo. Una di queste fu quella ru zu F. e da za C.. Partì tutta la famiglia. Erano stati preceduti da un fratello, il più giovane: S.. Non hanno mai dimenticato la ‘leggerezza’ del Borgo, i tramonti, il mare, la pesca. Sono tornati da pensionati.

U T. e a za M. li vedevamo solo d’estate. Erano anche loro 'torremuzzari' migranti. Appartenevano a quei milioni di meridionali che negli anni Sessanta e Settanta hanno permesso con i loro sacrifici il boom economico in Italia ed in Europa. Hanno vissuto in Germania oltre due decenni. Anche loro sono rientrati in Sicilia da pensionati. Con il frutto del loro lavoro hanno comprato una casa nel Borgo. E non sono stati i soli. Allora anche con il salario di un operaio era possibile farlo, ma occorrevano tanti sacrifici. Era una generazione parsimoniosa, che sapeva trasformare una Lira in un patrimonio. Dobbiamo molto a quegli uomini e a quelle donne. Lo hanno fatto per noi.

Un'altra famiglia che emigrò fu quella du L.. che aveva la mia età. Prima di partire fece in tempo ad insegnarci ad andare in bicicletta. Era uno dei pochi a possederla. Nzusu, dove abitava, non c’erano auto e non c’era pericolo di finire contro un muro, ma le cadute ci furono lo stesso. Imparammo in un pomeriggio. La bici che ci comprarono qualche mese dopo i nostri genitori servì per sei figli e per qualche cugino, era la mitica ‘Graziella’.

Un Borgo marinaro, Torremuzza era questo

U zu P. (e a za R.). Come tutti i 'torremuzzari' aveva una passione senza se e senza ma per il calcio e per il gioco del Totocalcio. Essendo un pescatore non mancava mai di ascoltare il bollettino meteorologico trasmesso dalla radio. Per essere sicuri delle previsioni bastava chiedere a Lui. La sua giornata o nottata lavorativa dipendevano dal tempo. In particolare, dal vento e dalle condizioni del mare. Quello dei pescatori è un lavoro precario, dipende dalle condizioni meteorologiche e dalla ‘fortuna’ di aver ‘calato’ le reti nel posto giusto. Allora era così ed i sussidi statali non c’erano.

Sulla spiaggia c’erano i relitti dei pescarecci che di certo gli zii pescatori del Borgo avevano utilizzato da giovani. Erano ‘lupi di mare’ e non era raro vederli seduti su un marciapiede intenti a rammendare le reti che qualche pesce che non voleva morire aveva bucato. Nella cattiva stagione li vedevi intenti ad assemblarle in cataste ben ordinate ed a riporle nei magazzini o a spostare le barche sotto i ponti, al riparo dalle piogge invernali.

Pescatori, erano solo pescatori. Eppure, sono stati capaci di garantire una vita dignitosa alle loro famiglie, allora assai numerose

In fondo a piazza Marina c’è una casa che sembra una villetta. Il pergolato, uno spazio per l’orto, un giardinetto ben curato ed una stradina per arrivarci. Un posto quasi isolato, almeno così ci sembrava allora. Ci andavamo solo per recuperare il pallone quando varcava involontariamente il cortile di quell’abitazione. Ci abitava u zu R. e la sua famiglia. Lo vedevi passare sotto i ponti per recarsi in spiaggia o seduto davanti casa a riparare le reti per la pesca. Era una figura minuta, non ricordo il tono della sua voce e, come per la maggior parte dei borgatari, è vissuto per il mare e per la famiglia.

Continua ....


sabato 14 agosto 2021

Morti sul lavoro: è una strage continua

Nonostante la crisi economica dovuta al Coivid-19, le morti sui posti di lavoro non diminuiscono. Dall’inizio dell’anno ci sono state quasi tre vittime al giorno

di Giovanni Pulvino

Foto da facebook.com

Si muore nelle campagne, nell’edilizia, nelle industrie. È una strage continua.

Per tanti, troppi datori di lavoro la priorità, anche a scapito della sicurezza, è il profitto a tutti i costi.

Il 10 agosto a Bergamo un operaio trentaseienne è morto dopo essere precipitato da 8 metri di altezza. Lavorava per una ditta che stava eseguendo dei lavori di manutenzione in una fonderia che produce componenti in alluminio per auto.

Nelle stesse ore un camionista di 49 anni è rimasto gravemente ferito mentre sversava il liquido dalla cisterna del suo mezzo, sembra che il tubo sia esploso.

Ad Asti un uomo di 56 anni è rimasto ustionato ed è deceduto al momento del ricovero in ospedale. Stava eseguendo lavori di manutenzione in un negozio di surgelati.

Lunedì scorso nel foggiano un operaio di 47 anni ha perso la vita schiacciato da una lastra di calcestruzzo.

Nelle stesse ore a Sondrio un guardiacaccia diciottenne è deceduto durante la sua prima uscita di servizio.

L’11 agosto un agricoltore di 30 anni è morto schiacciato dal suo trattore mentre trasportava una botte d’acqua per tentare di spegnere un incendio.

Laila El Harim, quarant’anni, è morta il 3 agosto scorso incastrata nel macchinario, ma non era stata addestrata ad utilizzarlo.

Sono usciti di casa per andare al lavoro, ma non vi faranno più ritorno.

Il numero delle vittime aumenta quotidianamente. Dall'inizio dell'anno sono 539.

Le principali cause degli incidenti sono il mancato rispetto delle norme di sicurezza, l’obsolescenza dei macchinari e delle strutture, l’inadeguatezza della formazione professionale e la negligenza nell’applicazione dei protocolli di legge da parte dei datori di lavoro.

La necessità di rispettare i tempi di consegna o di ridurre al minimo i costi di produzione provocano spesso imprudenze e disattenzioni.

Non dovrebbe succedere, ma purtroppo così non è. Le leggi non mancano, ma spesso è ritenuto problematico o troppo gravoso organizzare e programmare la formazione, specie nelle piccole attività.

Il costo in vite umane è inaccettabile, ma non si riescono a trovare rimedi adeguati per evitarli. Di certo i controlli sono insufficienti. Ed il rispetto delle regole per tanti, troppi italiani e non solo è vissuto come un’imposizione alla libera iniziativa economica. 

È un fatto culturale. Fino a quando non sarà capovolto questo modello di sviluppo economico i morti e gli infortuni sul lavoro si ripeteranno e nulla, purtroppo, potrà impedirli.

domenica 8 agosto 2021

Desalu e Jacobs simboli di un’Italia multietnica

Giovanni Malagò, presidente del Coni: ’Olimpiadi storiche per Italia multietnica e super integrata. Per la prima volta atleti nati in tutti i continenti

di Giovanni Pulvino

Eseosa Fostine Desalu detto Fausto e Filippo Tortu

Quaranta medaglie in 19 discipline con atleti italiani nati in tutti i continenti. È l'Italia più grande di tutti i tempi. Tra i paesi europei e non solo siamo arrivati per ultimi, ma anche noi, adesso, almeno nello sport, siamo multietnici.

La Francia di Kylian Mbappè campione del mondo nel 2018 era una squadra composta da calciatori che per nove undicesimi erano di origini non francesi. Lo stesso si può dire di tante altre compagini e non solo nel calcio.

Negli sport olimpici ci sono molti atleti che hanno cittadinanze diverse da quelle dei loro genitori. Sono oriundi o hanno il doppio passaporto.

Anche i due velocisti che pochi giorni fa ci hanno fatto sognare hanno origini non italiane.

Marcell Jacobs è nato in Texas, ma è cresciuto in Italia. Eseosa Fostine Desalu detto Fausto è nato nel nostro Paese, ma è diventato cittadino italiano solo a diciotto anni, nel 2012. Il suo italiano è migliore di quello di tanti nostri connazionali. La mamma immigrata nigeriana è una lavoratrice. Fa la badante e non si vergogna di questo. Una donna umile, che vive con dignità in un paese che solo ora sta acquisendo la consapevolezza di essere una comunità multietnica.

La naturalezza con cui si esprimono questi campioni dimostra che sono in tutto e per tutto italianiCon buona pace di chi ancora oggi, nell’anno 2021, continua a parlare di razze e confini da difendere.

Sono figli di immigrati. Sono cittadini del mondo. Sono italiani, ‘and basta’.

sabato 7 agosto 2021

Covid-19: persi 378 mila posti di lavoro autonomo

Non solo crisi di grandi aziende, ma anche e soprattutto delle piccole attività autonome che hanno causato la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro

di Giovanni Pulvino

Foto da cgiamestre.com

Tra febbraio 2020 e giugno di quest’anno il nostro paese ha perso a causa del Coronavirus 470 mila posti di lavoro. Di questi, 378 mila, cioè circa l’80%, sono di lavoratori indipendenti. A sostenerlo è il Centro studi della CGIA di Mestre.

Il numero totale delle partite Iva si è ridotto mediamente di ‘776 unità al giorno’. Si tratta soprattutto di piccoli commercianti, esercenti, collaboratori e liberi professionisti.

I dipendenti sono diminuiti di 92 mila unità.

Non solo crisi aziendali come quelle della Gkn, della Whirpool, della Logistica Italia, ect., ma anche quella di tantissime piccole attività autonome, la maggior parte delle quali a gestione famigliare. Fallimenti e chiusure che hanno causato la perdita decine di migliaia di posti di lavoro.

Una nota positiva viene dall’artigianato.

Secondo la CGIA nel periodo della pandemia c’è stata una inversione di tendenza rispetto al decennio precedente. Quasi tutte le regioni hanno fatto registrare un aumento del numero delle imprese artigiane presenti sul territorio italiano. 

Performance che riguarda soprattutto il Sud.

Le nuove attività che sono nate lo scorso anno ‘hanno potuto ricevere un contributo minimo di 1.000 euro e quelle composte da soggetti diversi di almeno 2.000 euro. Probabilmente – sottolinea la CGIA – questa possibilità ha indotto molti abusivi … a uscire dalla clandestinità,’ Non è escluso quindi che finita questa ‘fase di sostegni questi operatori non si rituffino nel sommerso’.

Fonte cigiamestre.com

mercoledì 4 agosto 2021

La riforma Cartabia non abbrevierà i processi, li renderà ‘improcedibili’

L'Unione europea per concederci i finanziamenti del PNRR  ci chiede procedimenti penali più rapidi, ma con la riforma Cartabia ci limiteremo a renderli ‘improcedibili’

di Giovanni Pulvino

Marta Cartabia e Alfonso Bonafede

Si dice che lo impone l’Unione europea, ma non è vero. Per ricevere i finanziamenti del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza l’Europa ci chiede, tra l’altro, una 'giustizia' celere, non la cancellazione dei processi, ma tant’è questo sarà.

Ecco le principali novità, sempre che non ci siano ulteriori cambiamenti prima dell’approvazione definitiva del Senato.

Il Disegno di legge presentato dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede prevedeva l’interruzione della prescrizione dopo il primo grado di giudizio. Il nuovo art. 161 bis c.p. della riforma Cartabia dispone che ‘il corso della prescrizione del reato cessa definitivamente con la pronunzia della sentenza di primo grado. Nondimeno, nel caso di annullamento che comporti la regressione del procedimento al primo grado o a una fase anteriore, la prescrizione riprende il suo corso dalla data della pronunzia definitiva di annullamento

La norma più controversa del disegno di legge delega riguarda la cosiddetta ‘improcedibilità’. Il nuovo art. 344 bis del Codice di procedura penale stabilisce l’interruzione dell’azione penale per la mancata definizione del giudizio di appello entro il termine di due anni o per la mancata definizione del giudizio di Cassazione entro il termine di un anno.

Tali termini in alcuni casi, tassativamente elencati, possono essere aumentati. In particolare, per i reati gravi o complessi come terrorismo e associazione mafiosa.

La sopravvenuta improcedibilità penale non comporterà necessariamente anche quella civile, il giudice potrà rinviare a quello competente in Corte d’appello che potrà utilizzare le prove raccolte nel corso del procedimento.

Infine, è costituito dal ministero un Comitato tecnico-scientifico per il monitoraggio sull’efficienza della giustizia penale, sulla ragionevole durata del procedimento e sulla statistica giudiziaria. Lo scopo è quello di valutare il raggiungimento degli obiettivi e l’effettiva funzionalità degli istituti giudiziari.

La riforma Cartabia non riduce i tempi dei processi, ma semplicemente li cancella se questi dovessero protrarsi più del dovuto. Lo Stato italiano alza bandiera bianca. Non potendo fare ‘giustizia’, depenna i procedimenti a tutto vantaggio degli imputati.

Ed è evidente che ad usufruire della nuova normativa non saranno i ‘ladri di polli’, ma chi potrà permettersi studi legali particolarmente attrezzati e costosi.

Quello che i garantisti di tutti gli schieramenti politici non sono riusciti a fare nelle ultime legislature, lo farà un ministro tecnico con il sostegno di quasi tutto il Parlamento.

Tutto con buona pace di quanti aspettano ‘giustizia’ da decenni e che ora, se il Ddl Cartabia sarà approvato, non avranno mai.

lunedì 2 agosto 2021

Gli zii e le zie di Torremuzza (parte prima)

Per una questione di privacy i nomi ed i soprannomi sono indicati con le iniziali. Chi li ha conosciuti o li conosce certamente capirà di chi si tratta

di Giovanni Pulvino


Nei piccoli paesi non puoi sceglierti gli amici, quelli sono. E non può sceglierti neanche gli anziani o comunque quelli che da adolescenti ti sembrano tali. Ti rimangono impressi nella memoria. Sono lì a suggerirti un ricordo, un momento di vita che non va via. Stanno in un angolo della memoria pronti a ridestarsi senza volere, basta una parola o un’immagine per farli riapparire scoloriti ed incerti come tutto, come tutti, ma ritornano sempre.

Un sorriso ed un saluto a volte valgono più di ogni altra cosa

U zu P. e a za R. d’estate stavano quasi sempre in piazza Marina davanti all’uscio di casa ed era inevitabile ricevere il loro saluto dal ritorno dalla spiaggia. Poi un giorno non li vedi più, se n’erano andati. Erano una casalinga ed un pescatore come allora ce n’erano tanti nel piccolo Borgo marinaro. Chi non lavorava nello stabilimento di raffinazione della sansa, viveva di pesca e di poco altro.

Le tragedie non guardano in faccia a nessuno, puoi solo subirle con dignità e con la consapevolezza che si possono verificare in qualunque momento e che, anche se vorresti, non puoi impedirle

C.  lo incontravi appoggiato su una barca o seduto sulla sabbia o su una pietra su un lato della stessa per coprirsi dal sole di luglio. Stava lì a godersi il mare e non solo. Guardando i bagnanti gli scappava sempre una battuta un po' ‘malandrina’ e noi per pudore non dicevamo nulla, anche se non eravamo convinti di quelle parole. Viveva in una casetta di fronte allo stabilimento. Chissà cosa avranno provato Lui e la moglie quando scoppiò l’incendio. Due operai rimasero carbonizzati. Uno fu trovato sotto la scala di ferro rannicchiato nel vano tentativo di proteggersi dal fumo e dalle fiamme. Almeno questo si disse. Quella notte ci fu chi si salvò saltando il muretto che delimitava lo stabilimento e che costeggiava la spiaggia. Tra il suono delle sirene dei vigili del fuoco e le fiamme alte decine di metri, scappammo da Torremuzza. Il pericolo che tutto il Borgo potesse esplodere da un momento all’altro era concreto. Mia nonna per sicurezza ci portò a Caronia montagna dove vivevano i suoi parenti.

Noi eravamo troppo piccoli per capire il senso di quella tragedia. Un nostro amico è cresciuto senza il papà, ma non ricordo una nostra battuta o invettiva che glielo ricordasse. Eravamo bambini buoni. L’amicizia era vera e sincera. Allora non sapevamo nulla delle morti sul lavoro, di padri di famiglia che escono di casa per non farvi più ritorno. Anche queste sono consapevolezze che si acquisiscono da adulti.

Nel Borgo non c’era quello che a torto o a ragione viene definito come ‘lo scemo del villaggio’, in compenso non mancavano certi comportamenti e certe abitudini che ci sembravano delle ‘stranezze’  

Una volta entrai nell’abitazione di una signora che allora mi parse molto anziana. Viveva sola. Non ricordo perché ci andai, ma non importa. Era gentile, ma era, a detta di tutti, diciamo così poco attenta alle pulizie. La chiamavamo a F. Non so se il nome derivasse da questa sua caratteristica ‘particolare’ o se fosse invece il diminutivo di uno vero. Il mio ricordo nasce probabilmente da questa sua scarsa attenzione all’ordine e alla pulizia o più semplicemente dalla nomina che si era fatta. Nelle borgate basta poco per essere tacciati di questo o quel ‘vizio’, vero o falso che sia.  

I pizzicotti sulle guance erano fastidiosi, ma tant’è li subivamo senza nessuna lamentela

C’era il papà di un mio amico, quello che mi faceva vincere le partite a calcio anche se giocavo da solo, che aveva la brutta abitudine di salutarci con un bacio e un pizzicotto sulla guancia. U zu V. aveva i capelli bianchi, ma proprio tutti, almeno così lo ricordo. Era un pescatore ed era un appassionato del gioco dello scopone, delle bocce e del ballo liscio, in particolare della mazurca. Per tenere il ritmo batteva il piede destro sul pavimento facendo uno strano rumore che richiamava l’attenzione di tutti.  

A za M. era una persona paziente e buona di carattere, del resto chi altri avrebbe potuto stare accanto ad un uomo misogino ed irriverente? La sua fiducia sulle mie capacità contabili era senza se e senza ma. Non l’ho mai ringraziata per questo. Lo faccio ora anche se non serve a nulla.

Il nonno di N. aveva una caratteristica inconfondibile. Quando doveva chiamare il nipote lo faceva con un fischio. Si metteva sulla postazione che si trova nella parte alta del borgo e cominciava il richiamo. Non ci colpiva solo quella specie di sibilo ma anche il fatto che il nostro amico andasse via subito. Bastava quel segnale ed era già a casa.

La mamma è sempre la mamma, lo imparammo quel giorno

La mamma di P. ogni tanto arrivava con una fetta di pane enorme, di quello fatto in casa, era colma di nutella. Era la merendina, si fa per dire, di P.. Non c’era giorno che la scena non si ripetesse. Non avevamo invidia, piuttosto non capivamo quel rapporto tra madre e figlio. Noi, pur essendo piccoli, ci sentivamo già grandi ed autonomi. Nella nostra presunzione di adolescenti mai avremmo accettato un gesto simile dalla nostra mamma, infatti non successe mai o quasi. Solo una volta. Mi vergogno ancora oggi della mia reazione. In Lei c’era un forte senso di colpa per aver ritardato il suo compito mattutino e soprattutto per aver compiuto un’esagerazione nel tentativo di porvi rimedio. Oggi capisco il senso di quel comportamento, era amore materno, nient’altro. Il mio gesto di stizza fu una stupidaggine, quando si è giovani si considerano più importanti i giudizi dei coetanei anziché quelli degli affetti più cari. Purtroppo, questo lo capisci dopo quando non puoi più porvi rimedio.

Continua ...