martedì 19 maggio 2020

L’assessore leghista all’Identità siciliana inneggiava alle SS di Hitler

È il giornalista Alberto Samonà il nuovo assessore ai Beni culturali e all’Identità siciliana. La delega apparteneva al compianto Sebastiano Tusa, deceduto un anno fa nell’incidente aereo di Addis Abeba in Etiopia

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Matteo Salvini e Alberto Samonà - (foto da indelebiliweb.it)
E’ la giusta sintesi della militanza politica e della competenza professionale’, ha dichiarato all’Ansa il presidente della regione Sicilia, Nello Musumeci. Intellettuale e scrittore, il nuovo assessore, Alberto Samonà, è il direttore del sito giornalistico online ilSicilia.it. Il suo percorso politico è stato ‘tortuoso’. Negli anni Ottanta è stato dirigente del Fronte della Gioventù. Successivamente ha fondato a Palermo il Circolo politico-culturale Julius Evola. Nel 2018 si è presentato alle ‘parlamentarie’ del Movimento 5 Stelle, ma è stato escluso dalla lista. Nel settembre dello stesso anno è stato nominato responsabile per il Dipartimento cultura della Lega Salvini Premier. Pochi giorni fa la designazione in quota Lega ad assessore ai Beni culturali e all’Identità siciliana.
Incalzato da Claudio Fava a dire pubblicamente se è iscritto ad una loggia massonica, come prevede il regolamento della regione Sicilia per tutti i deputati ed assessori anche se non eletti, Alberto Samonà ha dichiarato: ‘Si sono stato iscritto alla massoneria. Ma adesso non lo sono più da tempo’.
Di ieri la notizia pubblicata dal Fatto quotidiano di una raccolta di poesie pubblicata nel 2001 in cui il nuovo assessore inneggia alle SS di Hitler: ‘Guerrieri della luce generati da padre antico e dalla madre terra’. Era una citazione si è giustificato l’esponente politico della Lega.
Insomma, il nuovo assessore all’Identità siciliana è, al di là delle sue competenze, un ex militante del Fronte della Gioventù, un mancato senatore grillino, un leghista, un ex massone ed un cantore delle squadre della morte naziste, ma perché il governatore della Sicilia lo ha voluto nella sua Giunta?
Di certo ci sono affinità culturali ed ideologiche, ma ci sono anche ragioni politiche ed amministrative. Ora la giunta Musumeci potrà contare sul sostegno senza se e senza ma della Lega di Matteo Salvini. Il partito che ha come simbolo l’eroe indipendentista, Alberto da Giussano, ora governa i ‘terroni’. Solo nella terra di Pirandello e di Sciascia poteva accadere un paradosso simile. E chissà cosa avrebbe pensato e detto Andrea Camilleri di un leghista custode della cultura e dell’identità siciliana.



sabato 16 maggio 2020

Chi pagherà i costi economici e finanziari causati dal Coronavirus?

Il Governo per evitare il conflitto sociale sta erogando decine di miliardi di euro a cittadini ed imprese in difficoltà, ma cosa succederà quando dovremo fare i conti con i costi della pandemia? Chi pagherà?     

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da occhionotizie.it
Secondo gli specialisti la battaglia contro il Covid 19 non è stata vinta ed un ritorno alla normalità non potrà avvenire prima di uno o due anni. Questo sarebbe infatti il tempo necessario per raggiungere l’immunità di gregge. Qualcuno è ancora più pessimista. Ritiene che il Coronavirus resterà tra noi per lungo tempo, come è avvenuto con l’Hiv. Con l’arrivo della ‘bella stagione’ la pandemia ridurrà i suoi effetti, ma molti temono una rapida e pericolosa ripartenza nel prossimo autunno. Una nuova crisi sanitaria è quindi una eventualità che potrebbe verificarsi. 
Il Governo sta erogando decine di miliardi di euro a cittadini ed imprese in difficoltà. Sono provvedimenti inevitabili. Ma tutto questo ha un costo finanziario. Il Prodotto interno lordo potrebbe calare del 10%. Si tratta, nei fatti, di un impoverimento generalizzato che determinerà un calo preoccupante delle entrate tributarie. In questa situazione il rapporto tra il debito ed il Pil potrebbe superare abbondantemente il 150%. All’inizio del 2020 era circa il 135%. Con il Trattato di Maastricht del 1992 ci eravamo impegnati a ridurlo al 60% del Pil (allora era al 120%). Insomma, per evitare il conflitto sociale ci stiamo indebitando ulteriormente ed in modo abnorme. In futuro, sapremo sostenere questo fardello? E soprattutto i mercati finanziari ed i risparmiatori fino a quando saranno disposti a darci fiducia e non avranno timore a comprare in nostri titoli di Stato? 
L’unico strumento finanziario che potrebbe evitarci il peso di questi ulteriori debiti è il cosiddetto ‘Recovery fund’. Esso, infatti, non graverebbero sui singoli bilanci statali, ma su quello dell’Unione europea. Sarebbe il passaggio decisivo verso gli Stati Uniti d’Europa, ma i Paesi membri, Italia in primis, saranno disposti a rinunciare ad una parte consistente della loro sovranità nazionale? 
Intanto, stando così le cose, in autunno rischieremo un doppio tsunami: quello sanitario e quello economico. Finora il Governo ha evitato il conflitto sociale. Ma cosa succederà quando dovremo fare i conti con i costi della pandemia? Chi pagherà per il disavanzo di bilancio? E soprattutto, reggerà il sistema democratico o ci affideremo ancora una volta a l’uomo della ‘Provvidenza’?


venerdì 8 maggio 2020

Sud vs Nord

Ci sono voluti meno di ventidue mesi per ricostruire i 1.067 metri del ponte di Genova, mentre per rifare i 270 metri del viadotto Himera sull’autostrada A19 Palermo-Catania sono stati necessari oltre cinque anni

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

A sinistra il nuovo ponte di Genova, a destra il viadotto Himera
Il 10 aprile del 2015 cedette, lungo la A19 Palermo – Catania, il viadotto Himera. L’interruzione, causata da una frana, divise in due la Sicilia. Nell’isola, infatti, non esiste un’altra autostrada che la attraversi da Nord a Sud o da Est a Ovest. Per diversi mesi gli automobilisti furono costretti a fare il giro da Polizzi Generosa. E gli autoarticolati per raggiungere Catania dovevano passare addirittura da Messina. Ancora oggi è obbligatorio utilizzare la bretella costruita dall’Anas. L’azienda pubblica ha comunicato che i lavori di ripristino del cavalcavia saranno completati entro la fine di luglio, ma visti i continui rinvii, forse sarebbe stato meglio non fare previsioni. Pochi giorni fa il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha assistito alla posa dell’ultima campata del nuovo ponte di Genova. Il tutto in diretta televisiva.
Per rifare un viadotto di nemmeno trecento metri non sono stati sufficienti oltre cinque anni, mentre per realizzare un ponte di 1.067 metri sono bastati meno di ventidue mesi. Il committente delle due opere è sempre lo stesso, eppure, l’efficienza organizzativa e burocratica è diversa, perché?
Non è solo una questione di procedure amministrative o di capacità imprenditoriali. Piuttosto è un fatto di scelte politiche ed economiche. La viabilità di una città settentrionale è, per chi ci governa, molto più importante che ripristinare un’arteria autostradale che collega cinque milioni di siciliani. Non è la prima volta che si verifica questa disparità di trattamento. Il Sud, spesso, è abbandonato a sé stesso, come se fosse un peso per l’opulento e operoso Settentrione.
Due pesi e due misure. Due Italie. È sempre stato così. Dalla nascita dello Stato unitario la priorità è sempre stata quella di favorire lo sviluppo economico del Nord. Sia chiaro, i meridionali hanno tante responsabilità, ma forse la più grave è quella di non aver saputo imporre gli interessi e le esigenze economiche e sociali del proprio territorio. Spesso, troppo spesso, i ‘terroni’ si sono limitati ad accettare quel poco che il resto del Paese era disposto a concedere, cioè poco o niente.
Ora la storia potrebbe ripetersi. Stiamo affrontando una gravissima crisi sanitaria. Ad essa seguirà un crollo del Pil peggiore di quello del 1929. E non è necessario essere un indovino per prevedere che a pagare saranno i più deboli ed i territori con un’economica più fragile, Mezzogiorno compreso. Ovviamente, il tutto avverrà nell’indifferenza di chi governa e di chi è governato, ma anche questa non è una novità.


sabato 2 maggio 2020

L’inizio della Fase 2 non vuol dire ‘liberi tutti’

Secondo gli esperti occorreranno dai 12 ai 18 mesi per ritornare alla ‘normalità, pertanto, con il rientro al lavoro e alle attività quotidiane occorreranno maggiore cautela ed un rigido rispetto delle direttive sanitarie

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Migranti, campo profughi in Libia - (foto di @fcantagallo)
Il lockdown totale sta per finire, il 4 maggio inizierà la cosiddetta Fase 2. Il divieto di circolazione sarà allentato. Oltre 4 milioni di lavoratori torneranno negli uffici e nelle fabbriche. Inoltre, potremo andare a trovare i congiunti, fare jogging, andare al mare e prendere bus e metrò. 
Finora è stato relativamente facile, bastava stare a casa. I problemi iniziano adesso. Sapremo rispettare le nuove indicazioni del Governo? Sapremo interpretare correttamente le nuove direttive? Dal ridurre le limitazioni al ‘liberi tutti’, il passaggio per molti è scontato.
Cautela e rispetto delle nuove disposizioni, quindi. La pandemia non è stata debellata. Decine di migliaia di asintomatici continuano ad essere portatori inconsapevoli del virus. I focolai potrebbero riaccendersi in qualsiasi momento e in qualsiasi città. Il ritorno alla ‘normalità’ potrà avvenire solo quando la maggioranza dei residenti sarà vaccinata o comunque sarà diventata immune al Covid 19.
I prossimi 12 o 18 mesi saranno complicati. L’attenzione non deve diminuire, anzi con il ritorno al lavoro e alle attività quotidiane occorrerà maggiore cautela. Con l’arrivo della 'bella stagione' sarà tutto più difficile. In attesa di un vaccino, molto dipenderà dai nostri comportamenti. Il pericolo di una nuova e più virulenta fase di pandemia non è escluso, anzi gli esperti ci dicono che il peggio potrebbe non è essere alle nostre spalle.
Intanto, dall’opposizione parlamentare e dalla stessa maggioranza di Governo aumentano le critiche all’operato dell’Esecutivo e diversi Governatori e Sindaci annunciano ordinanze meno stringenti di quelle indicate nei decreti ministeriali. Il fai da te degli amministratori locali oltreché incostituzionale è molto pericoloso, ma si sa, per molti politici è più agevole parlare alla 'pancia' del Paese che prendere decisioni che scontentano una parte dell’elettorato.
Inoltre, lanciare invettive dai salotti delle proprie abitazioni o in estemporanei flashmob è comodo e facile, tanto le responsabilità sono di chi governa ed a correre i pericoli di infezione sono i lavoratori e le lavoratrici che da lunedì torneranno nelle fabbriche e negli uffici.
Attenzione quindi, la Fase 2 non è il ‘liberi tutti’, ma deve essere un altro momento di serietà ed altruismo, sempreché gli italiani non decidano di ritornare alle cattive abitudini, cioè all'anarchia e all'individualismo



mercoledì 29 aprile 2020

La dignità del lavoro

‘Si può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha un lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli e educarli? Questo non è un uomo libero’, Sandro Pertini

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)


Il 'Quarto Stato' di Giuseppe Pellizza, 1901
(foto da it.wikipedia.org)
Il primo maggio 1886 a Chicago i sindacati iniziarono uno sciopero per rivendicare migliori condizioni contrattuali, in particolare per ridurre ad 8 ore l’orario giornaliero di lavoro. La protesta continuò per diversi giorni. Il 3 maggio la polizia attaccò senza preavviso i manifestanti provocando due morti e diversi feriti. Il giorno dopo durante il presidio di Haymarket Square dalla folla qualcuno lanciò un ordigno che provocò l’uccisione di un poliziotto. Le forze dell'ordine reagirono sparando sui manifestanti. Alla fine della giornata si contarono 11 morti e molti feriti. Tra le vittime 7 agenti, ad ucciderli fu il fuoco amico. Cinque lavoratori furono accusati ingiustamente dell’attentato, quattro furono giustiziati, uno per evitare l'impiccagione si suicidò. La loro riabilitazione avverrà solo nel 1893. Non si seppe mai chi lanciò l’ordigno che provocò la tragica reazione della polizia.
Nel 1886 nelle fabbriche si lavorava anche 16 ore al giorno e la ‘sicurezza’ non era neppure presa in considerazione ed i morti sul lavoro erano un fatto quotidiano. Tre anni dopo da quei tragici eventi, il 20 luglio del 1889, a Parigi, durante il primo congresso della Seconda Internazionale, fu deciso dai partiti socialisti e laburisti europei di indire ogni primo maggio una manifestazione per ridurre la giornata lavorativa ad 8 ore. Da allora, in quel giorno dell'anno si celebra la festa dei lavoratori.
Oggi la dignità del lavoro è riconosciuta in quasi tutto il mondo. Due secoli di lotte operaie e contadine, di scioperi e di vittime innocenti non sono state vane. È cresciuta l’importanza del ruolo e della professionalità dei lavoratori. Ma non tutto è dato per sempre. Nulla è gratis e non ci può essere cambiamento senza impegno e conflitto sociale. Per molti il lavoro è vissuto ancora come un'imposizione che si è disposti a subire solo per garantire un minimo di sussistenza economica alla propria famiglia. Si tratta, di occupazioni occasionali o di attività precarie e mal retribuite. A cui si devono aggiungere luoghi di lavoro spesso pericolosi ed alienanti e datori di lavoro improvvisati ed autoritari. 
Il lavoro deve diventare un'attività che consenta ad ognuno la possibilità di esprimere la propria creatività e le proprie capacitàNon basta più lottare per la conquista dei diritti, è giunto, per i lavoratori, il tempo di battersi per ricoprire ruoli di primo piano nelle scelte e nelle decisioni strategiche su cosa, su come e per chi produrre.
‘Un uomo che non ha un lavoro, che vive nella miseria, non è libero’. Certo. La libertà dal bisogno ha come presupposto il lavoro, a condizione, però, che esso non sia una necessità economica o peggio ancora un'attività da svolgere per garantire il profitto e la ricchezza di pochi.

giovedì 23 aprile 2020

Bruno Neri, il calciatore partigiano

In una foto in bianco e nero del 1931 spicca un atleta esile, è l’unico, tra tanti ‘quaquaraquà’, a non tendere il braccio in segno di saluto verso i gerarchi fascisti, è un gesto coraggioso, un esempio di libertà e di dignità che rimarrà nell’immaginario collettivo

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

1931, stadio Artemio Franchi di Firenze
(foto da patriaindipendente.it)
Bruno Neri cadde, ucciso dai nazisti il 10 luglio del 1944 a Marradi sull’Appennino tosco-emiliano. Vicecomandante del battaglione Ravenna 'fu sorpreso dai tedeschi mentre stava perlustrando il percorso che il suo gruppo avrebbe dovuto fare per recuperare un aviolancio sul Monte Lavane’.
Con il nome di battaglia di Berni, l’ex calciatore di Torino e Fiorentina, mostrò la sua riprovazione verso il fascismo fin dai suoi esordi calcistici. Famosa è rimasta la foto in cui è l’unico, tra i calciatori in posa, a non tendere il braccio per rendere omaggio a gerarchi fascisti. Voluto dal Duce, quel giorno del 1931 si inaugurava a Firenze il nuovo stadio Giovanni Berta (l’attuale Artemio Franchi). Sulle gradinate d’onore erano presenti comandanti e capi fascisti, eppure Bruno Neri rimase con le mani sui fianchi. Non pensò al tornaconto personale, bensì alla sua dignità di uomo e di sportivo. Un gesto di protesta coraggioso, di rifiuto dell’ideologia che imperava in quegli anni.
Il giovane di Faenza non era solo un buon calciatore, era un antifascista ed un uomo di cultura, un atleta che ‘leggeva Montale e Pavese e che si dilettava nella pittura e nella recitazione’. Era un partigiano che sapeva coniugare l’attività agonistica con quella intellettuale e politica.
L’8 settembre del 1943, dopo l’armistizio di Cassibile, come tanti italiani dovette decidere se aderire alla Repubblica di Salò o entrare nella Resistenza. Bruno Neri fece la scelta giusta. Da quel giorno iniziò, insieme a tanti altri italiani, la lotta armata contro l’occupazione nazifascista. Morì dieci mesi dopo combattendo per la libertà. QQQuella foto in bianco e nero è, ora, un monito per non dimenticare ed un incoraggiamento per quanti continuano a lottare per la giustizia e la democrazia.



sabato 18 aprile 2020

Stati Uniti d’Europa, se non ora, quando?

La grave crisi sanitaria ed economica causata dal Coronavirus potrebbe sviluppare tra gli europei un nuovo spirito comunitario, ma per tanti gli Stati Uniti d’Europa rimangono un’utopia, per altri una iattura da impedire a tutti i costi

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da change.org
Di solito i grandi eventi storici facilitano i mutamenti sociali e politici. Il dramma sanitario che stiamo vivendo ci costringerà a cambiare stile di vita. Dovremo adattarci ad una nuova organizzazione del lavoro, ad un diverso utilizzo dei trasporti e del tempo libero. Ci saranno mutamenti significativi nei rapporti tra governati e governanti e nelle relazioni internazionali, in particolare tra i Paesi membri dell’Unione europea. Uno di questi cambiamenti potrebbe riguardare la struttura e l’organizzazione politica dell’Ue. Sul suo ruolo e sulla sua struttura istituzionale esistono due visioni contrapposte. Ma le vicende delle ultime settimane potrebbero rendere inevitabile un passo in avanti verso l’unione federale. L’alternativa è l’immobilismo. Restare cioè una confederazione di Stati, dove ognuno continuerà ad agire nel solo interesse nazionale.  
La disputa sul Mes e sugli Eurobond è emblematica. Da un lato ci sono Stati che da sempre ricorrono all’indebitamento per coprire i disavanzi di bilancio e vogliono continuare a farlo anche come membri dell’Unione europea. Dall’altro lato ci sono Paesi più ‘parsimoniosi’ che usufruiscono dei vantaggi del mercato comune europeo senza però volerne condividere i problemi finanziari. Inoltre, alcuni di essi, essendo dei veri e propri paradisi fiscali (Olanda, Lussemburgo, Irlanda), non hanno nessuna intenzione di equiparare i sistemi tributari. A tale proposito, è bene ricordare che molte grandi e piccole aziende italiane, come Fca e Mediaset, hanno la loro sede fiscale in questi Paesi. 
L’Unione europea è, di fatto, una ‘istituzione incompiuta’. Abbiamo una moneta unica, una Banca centrale europea e tante norme che regolano la vita sociale ed economica dei cittadini, ma, nello stesso tempo, abbiamo bilanci nazionali e sistemi fiscali non omogenei e spesso contrastanti. In questo modo è inevitabile che il sistema economico e finanziario dell’Ue sia soggetto periodicamente alle turbolenze dei mercati e degli speculatori. 
Ora è tempo di decidere se istituire un’entità politica comune oppure se è meglio tornare agli Stati nazionali. Per alcuni l’integrazione federale sarebbe un’utopia, mentre per altri sarebbe un dramma politico e sociale da impedire a tutti i costi. Da soli si perde, questo è certo e l’epidemia del Coronavirus lo dimostra. La fiducia e la solidarietà tra i popoli sono fondamentali, senza non ci può essere condivisione e non ci può essere un’Europa unita e prospera.

martedì 14 aprile 2020

MES o Eurobond? Ecco le differenze

Che cos'è il MES? Cosa sono gli Eurobond? Perché quasi tutte le forze politiche sono contrarie al MES? Ecco una possibile spiegazione 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

I Paesi membri del MES
(foto da it.wikipedia.org)
Si cominciò a discutere della necessità di un dispositivo di stabilità finanziaria dell’Eurozona già nel 2010. L'Ue, a seguito della grave crisi del 2008 e della tempesta finanziaria che stava colpendo i Paesi dell’Europa, ha predisposto un meccanismo di stabilita finanziaria. I contenuti del trattato furono definiti dal Consiglio Europeo del 25 marzo 2011, a rappresentare l’Italia c’era il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. L’accordo, entrato in vigore nel luglio del 2012, prevede il finanziamento dei Paesi in difficoltà finanziarie che ne fanno richiesta. Stabilire il fabbisogno finanziario di quel Paese e le condizioni per la sua erogazione è, poi, l’organo plenario del MES.
I principali Stati che finanziano il Fondo sono la Germania (27,14%), la Francia (20%), l’Italia (17%), la Spagna (11,90%), i Paesi Bassi (5,72%) e, a seguire con quote inferiori al 5%, gli altri Paesi dell’Eurozona. Il MES è in grado di erogare finanziamenti per circa 700 miliardi di euro.
L’Italia ad oggi non ha fatto nessuna richiesta, ma ha ottenuto che il Meccanismo di stabilità finanziaria sia concesso senza condizioni se utilizzato per l’emergenza del Covid 19. La differenza con gli Eurobond sta nel fatto che con il MES il debito contratto è a carico del Paese che lo richiede, mentre con i primi è a carico di tutti i Paesi dell’UE. Inoltre, fino ad oggi per garantire il rimborso del prestito gli Stati che ottenevano il finanziamento erano obbligati ad adottare ‘pesanti’ misure fiscali e monetarie. 
E' una procedura di buon senso, ma per chi è abituato a fare debiti senza preoccuparsi di onorarli è una condizione inaccettabile. Certo, le politiche di rigore nel bilancio pubblico comportano sacrifici e nel breve periodo un calo del Pil e problemi per l’occupazione, ma il debito sovrano fino a quando può continuare a crescere? Come si può impedire il default? Di certo, noi italiani se continuiamo a sperperare risorse pubbliche, non potremo evitarlo. Allora il dilemma è: MES o Eurobond?
L’alternativa che propongono i sovranisti è la svalutazione monetaria, cioè stampare moneta. I primi effetti di questa politica sarebbero l’inflazione ed un aumento dello spread. L'impoverimento del Paese sarebbe inevitabile e riguarderebbe soprattutto i lavoratori, cioè tutti coloro che vivono con un reddito fisso. Crescerebbero, quindi, le disuguaglianze sociali e le ingiustizie. Sarebbe anche la fine dell’UE, i Paesi del nord Europa non lo permetterebbero. Allora, è meglio fare qualche sacrificio fino a quando siamo in tempo o dobbiamo continuare a spendere a debito, MES o Eurobond che sia?



sabato 11 aprile 2020

MES o non MES? È solo opportunismo politico

A presentare il Disegno di legge per la ratifica del MES è stato il governo Berlusconi, mentre l'approvazione definitiva in Parlamento è arrivata durante il successivo governo di Mario Monti

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Governo Berlusconi IV, in carica fino al 16 novembre 2011
 (foto da it.wikipedia.org)
Il 3 agosto del 2011 il Consiglio dei ministri del Governo di Centrodestra, il quarto presieduto da Silvio Berlusconi, approvò il ‘Ddl per la ratifica della decisione del Consiglio Europeo 2011/199/Ue, che modifica l’articolo 136 del Trattato sul funzionamento della Ue relativamente a un meccanismo di stabilità (Esm – European Stability Mechanism) nei Paesi in cui la moneta è l’euro. Obiettivo della decisione è far sì che tutti gli Stati dell’Eurozona possano istituire, se necessario, un meccanismo che renderà possibile affrontare situazioni di rischio per la stabilità finanziaria dell’intera area Euro’.
Quel Disegno di legge fu poi ratificato in via definitiva dal Parlamento il 19 luglio 2012 con il sostegno di tutte le forze politiche, compresi Pdl (Centrodestra) e Pd, unico gruppo ad opporsi fu quello della Lega.
Quando l’accordo di modifica del trattato europeo fu firmato dal governo di Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni era ministro della Gioventù e l’Esecutivo era sostenuto dal Pdl e dalla Lega, mentre la successiva approvazione del Parlamento è avvenuta quando al Governo c’era Mario Monti, che aveva la fiducia del Pdl, del Pd e di quasi tutte le forze politiche con la sola opposizione della Lega.
Per capirci, nel 2011 i leghisti erano d’accordo con l’istituzione del MES, ma poi, nel 2012, usciti dal Governo, non lo votarono, mentre Giorgia Meloni approvò il Ddl in Consiglio dei Ministri, ma era assente quando fu ratificato dal Parlamento. La leader di FdI sostenne e partecipò anche all’approvazione della legge Fornero, che oggi invece combatte con fervore.
L’incongruenza dei due esponenti sovranisti è evidente. L’opportunismo politico contraddistingue il loro percorso politico. Per i due leader la coerenza e il senso delle istituzioni sono secondari rispetto agli interessi di partito, ma anche questa non è una novità.



lunedì 6 aprile 2020

Coronavirus: cosa sarebbe successo se avessimo avuto un Governo sovranista?

Nei momenti difficili ‘gridare’ e polemizzare non serve a nulla, al contrario occorrono pacatezza e competenza, quelle che sta dimostrando il Governo, in particolare il ministro della Salute, Roberto Speranza

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Boris Johnson, Viktor Orbàn, Donald Trump
Foto da cranbrooktownsman.com
Negli ultimi tre decenni l’elemento che ha caratterizzato i comportamenti dei nuovi leader è stato il personalismo. Chi ha ricoperto ruoli di rilievo istituzionale spesso lo ha fatto con altezzosità e prosopopea. Queste settimane caratterizzate dal diffondersi del Coronavirus dimostrano, invece, che si può fare politica e governare senza individualismi, cercando, cioè, la collaborazione e la condivisione delle scelte. Tra questi politici c’è senz’altro, il ministro della Salute, Roberto Speranza. Entrato nel Partito democratico durante la segreteria di Pier Luigi Bersani, ora segretario di Articolo uno, il giovane leader politico sta dimostrando autorevolezza e serietà. La pacatezza e la competenza istituzionale con cui sta operando ricordano i leader del passato.
I provvedimenti presi dal Governo ed in particolar dal dicastero della Salute sono stati misurati, progressivi ed ineccepibili. La validità delle decisioni, nonostante le critiche inopportune di qualche governatore di Regione, hanno evitato situazioni di panico e caos. La linea adottata dal Governo si sta dimostrando adeguata e risolutiva.
Cosa sarebbe successo se avessimo avuto un Esecutivo diverso? Quello che sta avvenendo nei Paesi guidati dai sovranisti ci danno un’idea del pericolo che abbiamo corso. In Ungheria il Parlamento ha dato al suo leader, Viktor Orban, i pieni poteri. In Usa, in Brasile e in Gran Bretagna i leader populisti sono passati dal ‘contagio di gregge’ alla chiusura delle attività produttive. Ora, tutti i Paesi vittime della pandemia stanno prendendo le stesse misure adottate dal Governo italiano.
Non sappiamo ancora quanto durerà l'epidemia, ma sin d’ora dobbiamo dire grazie al presidente del Consiglio ed ai suoi ministri. Con i provvedimenti che hanno preso hanno saputo motivare gli italiani affinché tenessero comportamenti adeguati e soprattutto hanno saputo dare sostegno a quanti, infermieri e medici, hanno messo e stanno mettendo in pericolo la loro salute per salvare la vita dei contagiati e non solo.