martedì 4 gennaio 2022

I docenti e le Ffp2

I docenti ed i collaboratori Ata al rientro a scuola dopo le vacanze di fine anno dovranno affrontare il periodo più rischioso dall'inizio della pandemia

di Giovanni Pulvino

Con l’ultimo provvedimento preso dal Governo sulla lotta al Covid-19 arriva per i lavoratori della scuola l’ennesima beffa. Se nella classe ci saranno due positivi le Mascherine Ffp2 diventeranno obbligatorie, ma allora quelle chirurgiche messe a disposizione dal ministero non erano e non sono adeguate?

In prima linea nella lotta alla pandemia, i docenti ed i collaboratori Ata dovranno affrontare al rientro a scuola dopo le vacanze di fine anno il periodo più rischioso da gennaio 2020.

Agli istituti scolastici non è permesso conoscere lo stato vaccinale degli alunni sia del primo che del secondo grado di istruzione, né può essere richiesta la relativa certificazione verde per accedere a scuola.

Per l’Autorità sulla privacy devono essere individuate le modalità che non rendano identificabili gli studenti non immunizzati. Lo scopo è quello di prevenire effetti discriminatori per coloro che non possono o non intendono vaccinarsi.

È la salute dei lavoratori?

I docenti non possono avere informazioni sulla immunizzazione dei loro alunni. Devono vigilare su eventuali discriminazioni e devono imporre l’uso della mascherina in classe scontrandosi spesso con i ragazzi più riottosi ed indisciplinati. Inoltre, sono obbligati a vaccinarsi o a fare la terza dose ed ora ad utilizzare le mascherine Ffp2. Questi ultimi provvedimenti non sono casuali. Il rischio di contagiarsi nelle aule scolastiche è aumentato notevolmente con l’arrivo dell’inverno e della variante Omicron. Il rientro a scuola dopo le vacanze di fine anno è ad alto rischio per alunni e personale scolastico. Anche perché i problemi strutturali come aule piccole e classi pollaio non sono stati risolti. Tutti i provvedimenti diversi dalla Dad sono palliativi. Tra la salute dei docenti e degli alunni da un lato e le esigenze dell’economia dall’altro, il Governo sta privilegiando quest’ultima.

La scuola italiana è sulle spalle dei singoli docenti e sulla loro professionalità. Sono loro che entrano in classe, sono loro che devono far rispettare le regole, in particolare quelle determinate dalla pandemia.

Devono formare ed educare le nuove generazioni, ma, nelle stesso tempo, devono garantire la loro incolumità contro il Covid-19. 

La responsabilità del rientro a scuola è dei docenti. Non solo rischiano di subire gravi conseguenze per la loro salute, ma anche le eventuali denunce penali sulla mancata vigilanza.

sabato 1 gennaio 2022

Pane, formaggio, pomodori e ‘passuluna’ cotti nella brace …

Era un pasto semplice, ma gustoso, sfizioso. Per un momento non sentivi più la fatica del lavoro, dimenticavi l’assurdità di compiere un atto che rendeva meno di quello che riuscivi a produrre

di Giovanni Pulvino

Foto di Giovanni Pulvino
I passuluni’ così li chiamavamo. Sono olive nere e mature. Le raccoglievamo da terra mischiate tra le altre, le prendevamo una ad una, la prima era del proprietario del terreno, la seconda del frantoio e la terza per chi come noi chino sulla terra umida si spaccava la schiena. Dovevi dividerle dalle erbacce e dai sassolini che eri costretto a spostare con un dito. Usavamo entrambe le mani. Quando queste erano piene di olive le gettavamo dentro i ‘panari’ che di tanto in tanto dovevi spostare e quando si riempivano svuotarli nei sacchi di plastica o di juta. A sera con l’aiuto di un asinello o a spalla li portavamo nel magazzino, dove venivano adagiate sul pavimento a finire la maturazione. Dopo pochi giorni, si riponevano di nuovo nei sacchi per portale al frantoio.

Le giornate in campagna passavano così, lente e leggere, faticando ed a volte giocando a chi riempiva per primo ‘i panari’ e, inevitabilmente, discutevamo su chi ne aveva svuotato di più nei sacchi, ma durava poco, non era un gioco era un lavoro.

Stavamo curvi o inginocchiati a individuare e raccogliere le olive mature cadute per terra. Tutto era naturale, inevitabile, poetico. Ed era così per settimane e mesi, si iniziava in autunno e durava fino all’arrivo dei primi freddi invernali.

Il lavoro che stavamo facendo non era ripagato dall’olio estratto dalle olive, ma alla fine della stagione un pensiero era stato tolto: avevamo la riserva per tutto l’anno.

Pane, formaggio, pomodori e ‘passuluna’ cotti nella brace, questo era il nostro pranzo. Seduti sotto gli alberi di ulivo, su una pietra o sull’erba, con un tenue odore di zagara, con la schiena indolenzita e le mani ancora sporche di terra, stavamo lì in attesa di tirare fuori dalla brace le olive nere mature, si erano un po' bruciate, quasi tutte odoravano di affumicato, ma avevano un sapore antico, impossibile da definire, che ti rimane impresso, che ti porti fino alla fine e non puoi non ricordarlo.

Un morso al pane fatto in casa, uno al pomodoro, un altro al formaggio ed un ‘passuluni’, nient’altro. Toglierli dalla brace in cui erano stati cotti e ripulirli non era complicato, avevano perso l’amaro tipico delle olive ed il loro sapore si combinava perfettamente con gli altri ingredienti. Era un pasto semplice, ma gustoso, sfizioso. Per un momento non sentivi più la fatica del lavoro, dimenticavi l’assurdità di compiere un atto che rendeva meno di quello che riuscivi a produrre.    

Ogni tanto facevamo la stessa cosa con il braciere di casa, unica modalità di riscaldamento che c’era allora, ma il loro sapore era diverso, mancava l’odore dell’erba e della terra umida e soprattutto la fatica fatta nella raccolta delle olive.

A sera restavano la fragranza ed i colori degli ulivi, degli agrumeti, dell’erba ed in particolare degli ‘airiaruci’. Lì chiamavamo così perché il loro stelo aveva un sapore agrodolce; ogni tanto, con l’incoscienza tipica degli adolescenti, li raccoglievamo per masticarli e succhiarli, ma poi li sputavamo.

In quei giorni, tra alberi e sterpaglie di ogni genere, chino sulla terra umida, immerso nei colori autunnali della campagna, lontano dal perenne ondeggiare del mare, non sentivi il trascorrere lento della vita che ti prende ogni volta che non stai facendo nulla di concreto, quando stai a pensare e non sai il perché lo fai, quando subisci le immagini ed i luoghi dove sei stato e che sai che non torneranno più, mai più.     

Come i giorni di festa che ora non hanno più lo stesso ‘senso’, ma che sei costretto a vivere anche se non vorresti, almeno non così.

Pane, formaggio, pomodori e i ‘passuluna’ cotti nella brace, nient'altro che un vuoto a perdere, come tutto, come sempre.

E non so perché sto qui a scriverne, a correggerne, a ….


venerdì 24 dicembre 2021

Al Sud uno sviluppo equo e sostenibile è possibile, ma occorre volerlo

Le risorse ci sono, i piani di investimento anche, allora perché lo Stato italiano non si adopera per ridurre il divario socioeconomico tra il Sud ed il Nord del Paese?

di Giovanni Pulvino

Foto da lasorgentecaposele.it

Il divario economico tra Nord e Sud del nostro Paese, in termini di pil e di reddito pro-capite, si è ampliato, in questi ultimi due anni, a causa dei devastanti effetti della pandemia, specie sulle piccole e medie imprese. Un divario storico, mai attenuato, a partire dall''unificazione nazionale, salvo una significativa riduzione, nel secondo dopoguerra, per gli interventi straordinari della Cassa per il Mezzogiorno. Questo è quanto sostiene il segretario generale di Unimpresa, Raffaele Lauro.

Non solo. Nonostante i piani di investimenti previsti con il Pnrrquesto divario sembra destinato ad accentuarsi per un concorso di cause negative’. Alla mancanza di una ‘mirata’ politica industriale e tecnologica si aggiungono il ‘mancato utilizzo dei fondi Ue a disposizione e l’inerzia realizzativa’ degli enti locali.

L’inevitabile incremento del divario tra il Nord ed il Sud ‘peserà - secondo il segretario di Unimpresa - sul prossimo futuro, anche sociale, dell'Italia’.

Il ruolo a cui il Mezzogiorno è destinato sembra irreversibile, ma così non è. Uno sviluppo equo e sostenibile è possibile, ma occorre volerlo.

Fare annunci e promettere risorse non è sufficiente. È necessario l’intervento diretto dello Stato. L’assenza nel dibattito politico nazionale della Questione meridionale è emblematica. Basti pensare ai ritardi nella realizzazione delle infrastrutture. Ecco qualche esempio concreto. L’alta velocità è ancora un’ipotesi, la fibra ottica non è una priorità, specie nelle piccole comunità, i servizi sociali ed amministrativi sono inefficienti e poi c'è l’esclusione sistematica dai grandi eventi economici e sportivi, l'elenco è lungo. Questi problemi si aggiungono a quelli strutturali accumulati dall’Unità d’Italia ad oggi.

E non è vero che non ci sono le intelligenze e le capacità imprenditoriali. Quelle che scarseggiano sono le 'opportunità socioeconomiche' per poter intraprendere attività produttive legate al territorio e al capitale umano disponibile. Nel Mezzogiorno non ci sono cioè le condizioni minime per favorire gli investimenti nazionali ed esteri.

Quella che manca è la volontà politica. Il Sud per la nostra classe dirigente continua a non essere una priorità.

Fonte unimpresa

mercoledì 15 dicembre 2021

Sciopero generale

La Cgil e la Uil hanno indetto lo sciopero generale, ecco quali sono le loro motivazioni

di Giovanni Pulvino

Foto da cgil.it

La riforma dell’Irpef prevede la riduzione degli scaglioni da cinque a quattro ed una rimodulazione delle aliquote. Per i redditi da o a 15.000 euro  l’aliquota rimane del 23%. Per gli scaglioni da 15.000 a 28.000 e 28.001 a 50.000 euro le aliquota si riducono di due punti, cioè passano rispettivamente al 25% e al 35%.

Per i redditi oltre i 50.000 euro l’aliquota sarà del 43%, aumenta cioè di due punti. Lo scaglione oltre i 75.000 euro sarà cancellato. Ai redditi fino a 35.000 euro si applica una riduzione sui contributi ogni 10.000 euro di retribuzione, ma è prevista solo per un anno.

Secondo la simulazione fatta dal Sole 24 ore i soggetti che beneficeranno di più da questa riforma sono i redditi sopra i 40.000 euro. Mediamente risparmieranno 950 euro di imposte, cifra che si riduce a 100 euro per chi percepisce un reddito di 24.000 euro. Nulla andrà a chi ha un reddito inferiore a 15.000 euro. La no tax area prevista è di 8.174 euro per i dipendenti, 5.550 (700 euro in più di prima) euro per i lavoratori autonomi e 8.500 euro per i pensionati.

È bene ricordare che in Francia l'aliquota per i redditi più bassi è dell’11%, in Germania del 14%, in Spagna del 19%, in UK del 20%, ma con una no tax area fino a 14.600 euro.

Questi dati spiegano perché la Cgil e la Uil hanno indetto lo sciopero generale. La riforma fiscale avvantaggia i ceti cosiddetti medi e non incide se non in minima parte sulle disuguaglianze. Non è prevista nessuna redistribuzione della ricchezza. Il tema dell’evasione fiscale è stato accantonato ancora una volta. Gran parte della manovra è a debito. Il conto sarà pagato dalle generazioni future, a cominciare da quelle che andranno in pensione non prima dei 67 anni di età. Non c’è nessun intervento significativo per il Sud. Il divario con il resto del Paese è destinato a crescere.

Sembra una manovra scritta ed approvata dal Centrodestra invece è quella di un Presidente del Consiglio ‘tecnico’ e di un’ampia maggioranza parlamentare, se non fosse vero ci sarebbe di ridere.

Fonte sole24ore.com

lunedì 6 dicembre 2021

Assegno unico per i figli anche a chi è milionario

Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha affermato più volte la necessità di ridurre le  disuguaglianze, ma allora qual è il senso di questa norma?

di Giovanni Pulvino

Il presidente del Consiglio Mario Draghi
Il decreto legislativo attuativo dell’assegno unico è stato approvato dal Consiglio dei ministri, ora dovrà passerà al vaglio delle commissioni competenti delle Camere. L’assegno unico sostituisce i ‘vecchi’ aiuti di famiglia come il bonus bebè e gli assegni familiari. La somma stanziata è di 15 miliardi che salirà progressivamente fino a 19 miliardi e mezzo dal 2029. L’importo mensile potrà raggiungere 175 euro, ma scenderà a 85 euro per i figli maggiorenni tra i 18 ed i 21 anni che studiano, facciano tirocini o il servizio civile universale.

L’indennità spetterà ad ogni figlio a carico e non ha limiti per quelli disabili. L’assegno sarà percepito dal genitore che fa domanda o a chi ne fa richiesta in misura pari tra i genitori. In caso di affidamento in mancanza di un accordo va al genitore affidatario o al tutore, in questo caso sarà riconosciuto nell’interesse del tutelato. La domanda potrà essere presentata anche dai figli maggiorenni che possono ‘richiedere la corresponsione diretta della quota di assegno spettante’.

L’importo pieno spetterà a chi ha un Isee fino a 15 mila euro. Poi diminuirà progressivamente fino a un minimo di 50 euro e 25 per i maggiorenni per Isee oltre 40 mila annui o per chi non allegherà l'attestazione reddituale e patrimoniale alla richiesta. Le domande potranno essere presentate all’Inps a partire dal primo gennaio ed avranno validità da marzo al febbraio dell’anno successivo.

Il nuovo assegno unico per i figli è un’indennità universale, potrà, cioè, essere percepito anche da chi è milionario. La nuova normativa non fa differenza tra chi è ricco e chi invece è indigente. Spetterà cioè anche a chi non ne ha alcun bisogno. L’importo si riduce al crescere del reddito e del patrimonio, ma, nonostante ciò, rimane una misura del tutto incomprensibile ed in contrasto con i principi costituzionali di equità e giustizia sociale.

Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha affermato più volte la necessità di ridurre le disuguaglianze, allora qual è il senso di questa norma? Ed è paradossale che sia la Sinistra o quella che continua a ritenersi tale, a proporre e sostenere queste riforme.

Non c’è da meravigliarsi quindi se i ‘progressisti’ raccolgono più consensi nei quartieri ‘bene’ delle città, anziché nelle periferie, dove i cittadini spesso votano per i sovranisti ed i populisti. 

 

mercoledì 1 dicembre 2021

La crisi finanziaria della Juventus non è casuale

Un manager che non sa dirigere l’azienda di cui è amministratore dovrebbe essere licenziato su due piedi, ma questa motivazione non basta alla proprietà della Juventus, chissà perché

di Giovanni Pulvino

Pavel Nedved e Andrea Agnelli
(foto da torinonews24.it)

La Juventus ha in corso un ingente aumento di capitale. La somma richiesta al mercato finanziario è di circa 400 milioni di euro. I ripetuti deficit di bilancio e il continuo incremento di debiti accumulati negli ultimi anni hanno reso inevitabile questa operazione di rifinanziamento. 255 milioni di euro, cioè il 63,8% del totale, saranno versati dalla società Exor, 'cassa' della famiglia Agnelli, il resto dai risparmiatori.

In questi giorni ai problemi patrimoniali si sono aggiunti quelli giudiziari. Le accuse oggetto dell’indagine della procura di Torino sono gravi. Scambio fittizio di calciatori e plusvalenze 'farlocche' sono un ‘modus operandi’ frequente nel mondo del calcio. In questo caso esse si sommano con una gestione amministrativa farraginosa ed ai limiti della legalità. 

Alla luce di questi sviluppi si comprende anche l’insistenza del presidente Andrea Agnelli nel voler creare la Superlega, una competizione che avrebbe garantito ingenti risorse finanziare solo ai club più prestigiosi come la Juventus.

Una società abituata a vincere, che dispone di notevoli risorse economiche come ha fatto a ritrovarsi in una situazione patrimoniale e sportiva così precaria?

Nel 2018 l'acquistò di Cristiano Ronaldo fu accolto dai mercati con entusiasmo. In Borsa la quotazione del titolo quintuplicò in pochi giorni. Allora non si tenne conto dell’aumento dei costi e dello squilibrio finanziario che quell’operazione avrebbe provocato negli anni successivi.

117 milioni di euro è stato l’esborso che la Juventus ha dovuto sostenere per acquistare il ‘cartellino’ del campione portoghese. 100 milioni di euro sono andati al Real Madrid, 5 milioni di euro per pagare il contributo di solidarietà previsto dalla Fifa ed i restanti 12 milioni di euro sono stati utilizzati per la commissione al procuratore Jorge Mendes. Al calciatore sono andati 124 milioni di euro netti per quattro anni. Per essere più chiari, a Cristiano Ronaldo è stata corrisposta un’indennità netta di 84.931,51 euro al giorno. La società bianconera ha dovuto sostenere anche oneri e tasse relativi all’ingaggio; pertanto, la cifra complessiva dell’operazione è stata quasi il doppio dell’indennità netta percepita dal calciatore (circa 248 milioni di euro).

L’acquisto di CR7 è stato un capolavoro dal punto di vista mediatico, ma è stata una scommessa ‘persa’ da quello finanziario. Voler vincere la Champions League a tutti i costi, tra l’altro senza riuscirci, non è stato un buon affare per le casse della società.  

Per raggiugere quell’obiettivo il club torinese aveva acquistato nel 2016 il centravanti argentino Gonzalo Gerardo Higuain per 90 milioni di euro e nel 2019 il cartellino del giovane difensore olandese Matthijs de Ligt per 75 milioni di euro. Tutte transazioni finanziare eccezionali ed ingiustificate che rivelano le enormi disuguaglianze generate dal ‘giocattolo del pallone’, che altro non è che la sublimazione del sistema economico capitalista.

Gli acquisti di questi calciatori sono stati eticamente inaccettabili, ma lo sono ancora di più oggi se consideriamo le perdite ed i debiti accumulati. Ora veniamo a sapere delle presunte plusvalenze per coprire i buchi di bilancio.

Un manager che combina tutti questi guai all’azienda che dirige sarebbe licenziato su due piedi, ma questo non basta alla proprietà della Juventus, chissà perché.

Il punto è che il sistema capitalistico non opera in base alla meritocrazia, ma si fonda sui privilegi acquisiti o ereditati. Del resto cosa volete che siano 400 milioni di euro per chi ha un patrimonio miliardario?

Fonte REDNEWS

sabato 27 novembre 2021

‘Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità’

In uno dei primi capitoli del libro ‘Io posso - Due sorelle sole contro la mafia’ scritto da Pif e da Marco Lillo, gli autori raccontano come è nata a Palermo l’associazione antiracket ADDIPIZZO. Ecco il brano

di Giovanni Pulvino

Foto da addiopizzo.org

‘Tutto nasce nel 2004, quando a Ugo, Raffaele, Francesco, Daniele, Vittorio, Laura e Andrea viene l’idea di aprire una sorta  di pub/centro culturale, nella Palermo vecchia. Per capire quali spese dovranno sostenere ogni mese, un loro consulente stila una lista: luce, gas, acqua, tasse e pizzo. Alla parola pizzo tutti e sette fanno un balzo. Pizzo?Dovremo pagare il pizzo? All’improvviso la bella e spassosa città di Palermo, ideale per vivere da studente (affitti bassi, cibo buono ed economico, bel clima, ecc.), diventa molto ostica: è il momento in cui si entra nel mondo degli adulti. È possibile, quindi, che qualcuno si presenti, utilizzando all’inizio anche modi garbati, e consigli di mettersi a posto. Cosa  fare a quel punto? Qualcuno propone di invitare all’inaugurazione il fidanzato carabiniere , in modo da scoraggiare un’eventuale richiesta. Ma come strategia forse è in po' debolina. Dopo lunghe riflessioni, i ragazzi decidono di fare un gesto che è perfino un po' infantile: tappezzare un quartiere di Palermo di adesivi con la scritta Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità. La frase che a Vittorio è venuta in mente una notte. Se davvero noi non siamo nessuno, non abbiamo la possibilità di farci sentire, non ci rimane che l’attacchinaggio notturno. L’idea era di proseguire in altri quartieri nelle notti successive, ma il progetto non andrà mai in porto a causa di quello che i ragazzi scoprono la mattina seguente, accendendo la tv. Il comitato dell’ordine e sicurezza di Palermo (vale a dire questore, prefetto, comandante della finanza e dei carabinieri) si era riunito per discutere di un problema di pubblica sicurezza: la comparsa in alcuni quartieri di adesivi che parlano di pizzo. Una semplice verità aveva messo in crisi la città. Visto che i commercianti non avrebbero mai osato parlare di pizzo così pubblicamente, e men che meno di mafia, chi poteva aver osato tanto? Nessuno pensò a dei ragazzi che non riuscivano ad accettare quello che si era sempre accettato. Qualche giorno dopo ha luogo un incontro fra le istituzioni e questo impaurito gruppo di intraprendenti provocatori. È così viene l’dea di creare un’associazione antiracket che aiuti chi non ha il coraggio di denunciare perché magari si sente solo. Nasce Addiopizzo, la più significativa associazione antiracket di Palermo, che dal giorno della sua fondazione ha visto costantemente aumentare i propri iscritti. Con il passare del tempo la ricetta si rivela incredibilmente azzeccata. Lo conferma l’intercettazione di un mafioso che, qualche anno dopo la nascita dell’associazione, avverte al telefono un altro mafioso di non andare a chiedere il pizzo in quel determinato negozio, perché aderisce ad Addiopizzo’.
Tra i primi commercianti ad aderire all’associazione ci sono le sorelle Pilliu, protagoniste del libro 'Io posso - Due donne sole contro la mafia'.
‘Stavolta, oltre a intervistare i ragazzi di Addiopizzo, voglio incontrare anche qualche commerciante che ha aderito all’associazione. È così, un pomeriggio entro in un negozio di prodotti sardi in via del Bersagliere, gestito dalle sorelle Maria Rosa e Savina Pilliu. Dietro il bancone c’è l’anziana madre. A rilasciare l’intervista è Savina: Non sarei mai disposta a dividere quello che io guadagno con altri…. Da allora con le sorelle Pilliu abbiamo continuato a sentirci e, ogni volta che sono sceso a Palermo, sono passato a trovarle. L’argomento principale delle nostre conversazioni ruotava intorno alla storia del palazzo e delle due case diroccate ….

Fonte: ‘Io posso Due sorelle sole contro la mafia’

venerdì 19 novembre 2021

Silvio Berlusconi presidente della Repubblica?

L’elezione di Silvio Berlusconi alla carica più alta delle istituzioni italiane è plausibile? È un candidato di bandiera? Oppure c’è altro?

di Giovanni Pulvino

Silvio Berlusconi e Matteo Renzi - (foto da alganews.it)

La principale funzione del presidente della Repubblica è quella di rappresentare l’unità del Paese. I costituenti erano ben consapevoli di questa esigenza. L’ultimo comma dell’articolo 83 della Costituzione stabilisce: ‘L'elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell'assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta’. La maggioranza qualificata prevista dalla Carta nelle prime tre votazioni è stata introdotta per favorire un consenso ampio. Perché questo avvenga è necessaria un’intesa tra le forze politiche.

Il nome di Mario Draghi sembra essere l’unica figura istituzionale in grado di mettere d’accordo i partiti. Almeno questo è quanto si evince dalle dichiarazioni rilasciate in queste settimane dai leader politici, ma nella realtà così non è. La sua elezione dovrebbe avere come presupposto la nascita di un nuovo Esecutivo. Ed è assai improbabile che questo possa avvenire senza le elezioni anticipate e comunque sarebbe difficile mantenere coesa una maggioranza così ampia e variegata.

La riforma costituzionale ha ridotto drasticamente il numero dei seggi. I parlamentari faranno di tutto per giungere alla scadenza naturale della legislatura e per continuare con l’attuale Governo. L’ipotesi Draghi è, quindi, improbabile o di ultima istanza, cioè, può essere utilizzata come ancora di salvataggio nel caso in cui non si riesca ad eleggere un altro candidato.

Se così stanno le cose, chi sarà il nuovo capo dello Stato? Una parte del Centrodestra sogna Silvio Berlusconi. I numeri teoricamente ci potrebbero essere. Tutto dipende dal comportamento dei parlamentari di Italia Viva e di quelli del Gruppo misto.

La storia ci insegna che ad essere eletti sono sempre figure non di primo piano. Ed è assai probabile che anche stavolta sarà così. Allora la candidatura del leader di Forza Italia che scopo ha? Serve a favorire l’elezione di un esponente vicina alla Destra? È propedeutica per una sua eventuale nomina a senatore a vita? Certo è difficile immaginare ai vertici delle istituzioni un uomo che è stato condannato a quattro anni di detenzione per frode fiscale e che è oggetto di indagini e processi. Ma nel nostro Paese tutto è possibile, anche questo.

 

sabato 13 novembre 2021

Gli zii e le zie di Torremuzza (parte quinta)

Per una questione di privacy i nomi ed i soprannomi sono indicati con le iniziali. Chi li ha conosciuti o li conosce certamente capirà di chi si tratta

di Giovanni Pulvino

La fontanella di via San Giuseppe

Negli anni Sessanta e Settanta spostarsi non era facile. Le strade non erano asfaltate, in compenso c’era la stazione della ferrovia, ci lavorava un zu L.. Gli unici treni che si fermavano erano gli ‘accelerati’. Erano molto lenti, ma sarebbe stato complicato per i borgatari andare e venire da Messina o Palermo senza quei treni.

Solo G. C. aveva la macchina, una Seicento beige ultimo modello. Con quell’auto una volta mi porto a Villa Margi per offrirmi un gelato, era il mio padrino, ma solo sulla carta, non feci mai la comunione. I contrasti politici che abbiamo avuto negli anni dell’adolescenza si sanarono in parte solo tre decenni più tardi, anche se ognuno rimase sempre della sua idea, la solidarietà del Borgo vinceva su tutto.

Quando si è giovani non si pensa al pericolo e alle conseguenze dei nostri comportamenti, le precauzioni arrivano con la consapevolezza che ti conferisce l’età e l’esperienza, ma a volte è troppo tardi, non fu così per noi

Andavamo a scuola a Santo Stefano di Camastra con gli autobus. Allora erano pieni di ragazzi e ragazze del Borgo. C’è stato un periodo in cui utilizzammo il servizio di noleggio ru zu C.. Viaggiavamo su una Fiat 750. Il costo era sovvenzionato dal Comune. Agevolazione questa che è stata mantenuta anche nei decenni successivi. Quando uscivamo tardi per tornare a casa facevamo la strada a piedi. Oggi sarebbe assurdo e pericoloso. Scendevamo da porta Palermo verso il campo da calcio ed attraversavamo di corsa il ponte della ferrovia. Lo facevamo con trepidazione. Il timore era di essere sorpresi dal passaggio di un treno. Ai lati dei binari c’erano delle postazioni di sicurezza, si fa per dire, da utilizzare in caso di necessità. Non le adoperammo mai, almeno non ricordo, ma quanta paura quando eravamo sul ponte. Guardavamo con preoccupazione davanti e dietro di noi, ma anche sotto dove scorreva il torrente. Non eravamo degli irresponsabili, capivamo il pericolo, ma non c’erano alternative se volevamo evitare di fare il giro lungo la statale.

Nel Borgo non mancavano mai le dispute e le piccole beghe, ma non c’era cattiveria ed erano il ‘sale’ ed un motivo di ‘pettegolezzo

In via Nazionale, in prossimità ‘ru stazuni, c’era un albero di fichi. Quando maturavano i frutti cominciavano le dispute su chi avesse diritto a coglierli. La controversia finì quando a za P. T. e la sua famiglia ci costruirono la loro casa. Fu subito rimpiazzato con un altro e, ovviamente, le dispute ripresero. Allora su quel lato della strada non c’erano abitazioni, solo ‘u stazuni’. Nel Borgo ce n’erano due, anzi tre se consideriamo anche quello di ‘Maccaruni’. Immaginavamo che in quel posto potesse essere costruito un campo da calcio, lo stadio dei torremuzzari. Erano solo fantasie, e non erano le sole. Sognavamo di fare una squadra di soli borgatari e di vincere le varie divisioni, non ci ponevamo limiti, persino di giungere in Serie A. Eravamo bravi con il pallone, ma queste erano solo illusioni adolescenziali e come tante altre non furono mai realizzate. 

Eppure erano dolci pensieri ...

All’inizio di via San Giuseppe c’era una fontanella. Una foto in bianco e nero, scattata proprio in quel punto della strada, ritrae un soldato (americano?) che aiuta delle giovani borgatare a riempire 'u bummulu' d’acqua. Non ho mai capito chi fossero. Rimarrà una curiosità inappagata e non è la sola. Salendo quella via che allora era in terra battuta si arrivava Nzusu, dove c'è la Chiesa. Qui le case erano di proprietà del principe di Torremuzza e successivamente dei fratelli F.. La parte bassa e quella alta della frazione erano, per noi, due entità distinte e separate.

Torremuzza il paese della ‘puzza, dicevano, ma non era vero, il vento di maestrale spingeva quasi sempre i cattivi odori dovuti alla lavorazione della sansa verso est, il lato opposto al Borgo

La vita della frazione è cambiata completamente dopo la Seconda guerra mondiale. Fino ad allora le attività principali erano state la pesca e, in parte, la campagna e l'artigianato. Le case di piazza Marina venivano adibite anche per salare e mettere sottovuoto nei ‘varaluocchi’ le acciughe pescate dagli zii durante la notte. Non ho ricordi specifici di quest’attività, ma, probabilmente, è continuata fino agli anni Cinquanta.  

Nel nostro immaginario non c’è una Torremuzza senza la 'Raffineria', per noi era un ‘mostro’ parlante, familiare, faceva parte del nostro quotidiano, ha accompagnato la nostra adolescenza

All’inizio del Novecento in prossimità del mare c’era una fornace per la fabbricazione di materiale edile. La struttura per la raffinazione della sansa fu edificata proprio in quel posto. L’idea dei fratelli G. fu dirimente per i borgatari e non solo. Lo ‘Stabilimento’, come lo chiamavamo noi, funzionava bene perché utilizzava i residui dei frantoi d’olio. Attività questa molto prospera nel dopoguerra. L'olio prodotto non era di altissima qualità e gran parte di esso veniva esportato.

La sicurezza economica che quel 'lavoro' assicurò per oltre tre decenni permise la nascita di una comunità coesa e solidale

Di tanto in tanto sentivamo come un boato, sapevamo che dalla ciminiera ru Stabilimento stava uscendo a ‘nuzzulina. Era il residuo della lavorazione della sansa. Si spargeva ovunque per le strade della frazione. Noi correvamo sotto i ponti o a casa per evitare di essere sporcati da questa specie di polvere che cadeva dal cielo. Durava pochi minuti, per noi non era inquinamento, ma un evento fastidioso e divertente nello stesso tempo. Non era così per le nostre mamme che avevano steso i panni ad asciugare al sole.

Le famiglie dei borgatari, in particolare dei dipendenti della Raffineria, utilizzavano quei residui della lavorazione per il riscaldamento invernale. I bracieri a forma di cerchio o di quadrato riscaldavano le case, si fa per dire, ma quello c’era e si poteva avere. Il combustibile era il carbone, residuo della cottura del pane cotto nel forno a legna, o come avveniva più spesso ‘a nuzzulina’ dello 'Stabilimento' che durava di meno, ma riscaldava di più.

Di notte gli operai scaricavano a mare anche i residui d’olio e delle sostanze che utilizzavano per la lavorazione della sansa. Non era raro d’estate vedere in prossimità della riva queste chiazze d’olio. Per fortuna i venti allontanavano l’odore e questi sversamenti ‘illegali’ verso il lato opposto alla spiaggia del Borgo. Nonostante ciò, ci consideravano il Paese della ‘puzza’, ma non era vero.

Non rinunciammo mai a giocare all’aperto e d’estate a fare il bagno.

Continua ...

sabato 6 novembre 2021

‘Due donne sole contro la mafia’

Pierfrancesco Diliberto, detto Pif, e Marco Lillo, venuti a conoscenza delle vicende delle sorelle Pilliu, hanno deciso di raccontare la loro storia in un libro, un capitolo a testa e con l’intento di cambiare il finale

di Giovanni Pulvino

Fonte lafeltrinelli.it

Gli obiettivi degli autori che hanno scritto il libro ‘Io posso - Due donne sole contro la mafia’ sono tre. Raccogliere la cifra necessaria per pagare il 3 per cento chiesto dall’Agenzia delle entrate, far riconoscere lo status di vittime di mafia alle sorelle Pilliu e far ristrutturare il palazzone semidistrutto e concederne l’uso a un’associazione antimafia.

Ecco alcuni brani del libro.

‘Immaginate di tornare un giorno a casa vostra e di trovare un costruttore legato alla mafia lì davanti. Immaginate che vi dica che quella non è casa vostra, ma sua. E che, qualche anno dopo, ve la danneggi gravemente per costruirci accanto un palazzo più grande.

È immaginate di dover aspettare trent’anni prima che un tribunale italiano vi dia ragione.

Immaginate che, dopo tutto questo tempo, vi riconoscano un compenso per i danni, che però nessuno vi pagherà mai dato che il costruttore che vi ha arrecato il danno, nel frattempo, è stato condannato perché legato alla mafia e lo Stato gli ha sequestrato tutto. Inoltre, la società del costruttore si è fatta pure pignorare il palazzo abusivo dalla banca, che a sua volta ha ceduto tutto a una società finanziaria. E ancora, di quella somma, che non riceverete mai, l’Agenzia delle entrate vi chieda il 3 per cento.

Immaginate, infine, che bussando a un comitato che gestisce un fondo per aiutare le vittime di mafia vi sentiate dire: Mi spiace, ma per noi voi non siete vittime di mafia.

Se vi capitasse tutto questo, come vi sentireste? Questo è quello che, più o meno, è successo a Maria Rosa e Savina Pilliu, e alla loro madre. E diciamo ‘più o meno’, perché in trent’anni, in realtà, è successo questo e molto altro.

Siamo a Palermo e l’appartamento dove vivevano le sorelle Pilliu si trova in una palazzina in piazza Leoni, all’ingresso del parco della Favorita. Accanto c’è un’altra palazzina che appartiene anch’essa alla famiglia della mamma delle due sorelle. Pochi metri più indietro, a sovrastare tutti, oggi svetta un moderno palazzo di nove piani tirato su da un imprenditore, poi condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, che negli anni Ottanta decide di comprare tutte le palazzine della zona e creare lo spazio che gli serve per poter costruire il suo bell’edificio abusivo.

Ma c’è un problema: le uniche due persone con cui non riesce a trovare un accordo sono proprio Maria Rosa e Savina Pilliu. Le due sorelle non ritengono accettabili le proposte ricevute. E così un bel giorno, stanco di aspettare, il costruttore pensa bene di andare da un notaio, dichiarandosi proprietario di tutta quella zona – comprese le due palazzine di piazza Leoni – e, corrompendo le persone giuste, aprire il cantiere e cominciare a costruire.

Solo dopo trent’anni lo Stato darà ragione alle denunce delle sorelle Pilliu. Nel corso di questo lunghissimo periodo, intorno al palazzo abusivo si aggireranno vari personaggi: mafiosi eccellenti, figli di mafiosi eccellenti, assessori corrotti, killer di mafia latitanti, avvocati illustri diventati poi importanti politici, istituzioni pavide, vittime di lupare bianche, anonimi intimidatori e banchieri generosi’. 

Io posso è una sorta di mantra a Palermo. Non importa cosa dice la regola, perché tanto Io posso. Le regole valgono solo per gli stupidi. Io posso sottintende sempre: E tu no. Ecco, a noi piace molto questa frase. La gridiamo a gran voce ma con un senso opposto. Io posso e tu no perché io sono lo Stato e tu no’.

Fonte: ‘Io posso - Due sorelle sole contro la mafia’